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Mercoledì 1 maggio 2024

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Atti sessuali con l’alunno e atti persecutori, insegnante condannata

Tre anni e dieci mesi agli arresti domiciliari, oltre a un risarcimento di 30.000 euro. Per lei anche l'interdizione perpetua dalla professione di insegnante

La Guida - Atti sessuali con l’alunno e atti persecutori, insegnante condannata

Savigliano – È stata condannata a tre anni e dieci mesi di reclusione, da scontare agli arresti domiciliari, l’insegnante di Savigliano accusata di abuso sessuale e atti persecutori ai danni di un suo alunno, approfittando della sua minorata condizione psichica e fisica. Per lei l’accusa aveva chiesto la condanna a sette anni di reclusione. I giudici hanno però riqualificato il capo d’imputazione in atti sessuali con minore, applicando anche la misura del divieto di insegnamento. Nei confronti della parte civile è stato poi disposto un risarcimento di 30.000 euro.
Il collegio dei giudici non ha accolto la tesi difensiva esposta dagli avvocati Nicola Dottore e Luca Mondino, secondo cui quello che si verificò tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 tra l’insegnante e l’alunno poteva comportare un disvalore morale ma senza alcun risvolto penale: “Ci deve essere la consapevolezza del proprio potere e non è questo il caso”, ha sottolineato l’avvocato Dottore che ha descritto la condotta del ragazzo come pienamente consapevole di quello che faceva e voleva, capace di autodeterminarsi in modo cosciente. La denuncia partì dalla madre in seguito alla scoperta sul cellulare del ragazzo di una chat e di foto intime inviate dalla professoressa, ma già da tempo la madre aveva notato qualcosa di strano nel rapporto tra l’insegnante e suo figlio, tanto da segnalarlo alla dirigente e alla neuropsichiatra che lo seguiva a causa del suo passato di violenze domestiche subite dal padre.
Per il giovane, cui era stato riconosciuto il diritto a un insegnante di sostegno per prepararsi all’esame di terza media, era stato predisposto un progetto che sarebbe dovuto partire dopo le vacanze di Natale del 2017, ma che l’imputata decise di avviare già durante quel periodo invitando il giovane a recarsi a casa sua per studiare. Una frequentazione sempre più assidua che culminò nella serata dei primi di gennaio quando il giovane finse di essere stato picchiato dalla madre pur di ottenere l’autorizzazione a dormire a casa della professoressa. Il profilo social aperto con uno pseudonimo e le loro date di nascita per poter chattare liberamente, le foto intime, il tatuaggio con il nome di lui che la donna si fece realizzare sulla spalla, le continue chiamate anche in tarda serata hanno poi portato all’accusa di atti persecutori.
Una volta emersa tutta la storia, il ragazzo si definì come ipnotizzato, non in grado di ragionare, ma secondo la difesa fu un tentativo di ridimensionare il proprio ruolo nella storia che lo avrebbe visto come protagonista, desideroso di avere un’avventura con la professoressa per poi liberarsene una volta esaudito il capriccio. Una lettura della vicenda che però non ha convinto i giudici che hanno condannato la donna sia per l’abuso sessuale, riqualificato da violenza ad atti sessuali con minore, sia per gli atti persecutori e interdicendola in perpetuo dalla professione di insegnante.

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