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Lunedì 9 settembre 2024

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L’alpinismo in valle Maira, tra storia e attualità delle pareti più famose

Dalle prime salite compiute dai topografi del regno di Sardegna all’arrivo di alpinisti italiani e stranieri che hanno arrampicato lungo creste e pareti

Valle Maira

La Guida - L’alpinismo in valle Maira, tra storia e attualità delle pareti più famose

Valle Maira – Lontano dai grandi massicci più rinomati e frequentati, il settore montuoso che racchiude la valle Maira fu a lungo ignorato, quindi anche il movimento alpinistico risultò notevolmente tardivo. L’inizio dell’esplorazione delle cime più elevate della valle va infatti attribuito agli ufficiali-topografi dello Stato Maggiore Sardo (ai tempi del re di Sardegna Carlo Alberto), i quali furono i primi a rendere nota l’attività che li portò alla conquista di cime ritenute inviolate, anche se non si può escludere che alcune di queste fossero già state raggiunte da qualche pastore o cacciatore locale. Il movente iniziale dell’attività alpinistica fu dunque generalmente di carattere geografico-scientifico.

La prima vetta della valle Maira ufficialmente conquistata fu il Pelvo d’Elva (3.064 m), raggiunto nel 1836 dal capitano Cossato e dai suoi topografi. Più tardi nell’opera di rilevamento della Carta d’Italia si alternarono altri topografi militari, tra questi l’ingegnere Pio Paganini che, tra le numerose prime salite compiute nel settore alpino sudoccidentale, nell’anno 1877 conquistò la Tête de l’Homme (3.202 m), il Buc de Nubiera (3.215 m) e il Monte Chersogno (3.026 m). Se all’inizio l’attività alpinistica ebbe uno scopo scientifico, in seguito, seppur molto lentamente, si sviluppò anche un alpinismo fine a sé stesso, ancora appannaggio di pochi privilegiati benestanti. Fu il reverendo Coolidge, autore nel 1898 della guida The Western Alps, a compiere nel 1881 la prima salita nota al Monte Maniglia. Poco più tardi, nel primo decennio del Novecento, l’alpinista nizzardo De Cessole porta a termine la prima accurata esplorazione del gruppo Chambeyron.

Nel frattempo anche la letteratura alpinistica diede un notevole impulso divulgativo alla conoscenza delle montagne di questo settore, grazie alla pubblicazione nel 1889 della Guida delle Alpi Occidentali, curata da Martelli. Negli anni Trenta l’attività alpinistica si estese gradualmente ai ceti meno abbienti; di conseguenza anche la concezione stessa dell’alpinismo si modificò identificandosi nella nuova attività dei “senza guide”. Essendo ormai conquistate la quasi totalità delle cime, l’alpinismo spinse la sua attività nella ricerca di nuovi e sempre più difficili itinerari di salita, tra cui il gruppo Castello-Provenzale che già allora attirò il fior fiore dell’alpinismo del tempo: Ellena, Campia, Boccalatte, Gervasutti, Bonacossa, Castiglioni, Bramani e molti altri. Dopo la stasi dovuta al secondo confitto mondiale, fu solo negli anni Sessanta che la notorietà del gruppo Castello-Provenzale si estese considerevolmente.

In base a questa veloce panoramica sull’evoluzione dell’alpinismo, emergono chiaramente i tre principali poli dell’arrampicata in valle: il gruppo Castello-Provenzale, il massiccio dello Chambeyron e la Rocca Gialeo, sulla cui rossastra e allungata parete, violata solo nel 1969, si contano attualmente 14 vie dirette con difficoltà complessive varianti dal D al TD.
Il polo principale dell’arrampicata in valle è il gruppo quarzitico Castello-Provenzale, che presenta una roccia molto dura ma ricca di fessure. Questo gruppo è formato dalle eleganti e verticali strutture della Rocca Castello (2.452 m), della Torre Castello (2.448 m), della Punta Figari (2.345 m) e della Rocca Provenzale (2.404 m), sulle quali sono state aperte un centinaio di vie atte a soddisfare tutte le esigenze dell’arrampicatore, a iniziare dal frequentatissimo e facile, ma non banale, percorso sul crestone Sud alla Rocca Provenzale.

Il gruppo Chambeyron, dove l’arrampicata pura lascia spazio all’alpinismo di quota di tipo misto, è invece il massiccio montuoso dominante la testata dell’alta valle. Presenta una formidabile e rossastra bastionata di roccia calcarea che dal Buc de Nubiera (3.215 m) si allunga verso settentrione con la Tête des Cibiroles (3.236 m) e il Pariàs Coupà (3.248 m) per culminare infine nel torrione del Brec de Chambeyron (3.389 m). Tra i percorsi più belli, effettuabili anche grazie ai punti d’appoggio del rifugio di Stroppia (2.260 m) o del più elevato bivacco Barenghi (2.815 m) che ne facilitano l’avvicinamento, c’è il nevoso canale Nord del Brec, che offre una classica salita in un grandioso ambiente d’alta montagna.

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