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Sabato 4 maggio 2024

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Visto con voi: “Mirabilia” a Savigliano

La Guida - Visto con voi: “Mirabilia” a Savigliano

Anche se è nato a Fossano e a Fossano si svolge sempre il suo momento clou, il Festival Mirabilia si è allargato nelle ultime edizioni anche alle città vicine. L’edizione 2016, però, iniziata con cinque puntate di un giorno solo a Collegno (il 17 giugno), Alba (il 24), Grinzane Cavour (il 25), Monforte (il 26) e Saluzzo (il 30), ha visto una sorta di sorpasso da parte di Savigliano che ha ospitato questa straordinaria rassegna di nuovo circo, danza contemporanea, teatro di strada e arti performative per ben 7 giorni, dal 1° al 7 luglio, lasciando però, ovviamente, a Fossano il gran finale del weekend tra l’8 e il 10 luglio. Troppa roba? Forse sì, tanto che uno spettatore medio poteva rischiare di finire per essere sopraffatto dalle troppe offerte di un menu così ricco. Ma bastava vedere qualche spettacolo per essere affascinati da un mondo davvero poliglotta, interessante e stimolante, e diventare subito dei fan del festival. Oltretutto Mirabilia permette, prima e dopo le varie performance, un contatto diretto e senza ostacoli tra artisti, operatori, spettatori provenienti da tutta Europa o semplici curiosi. Il che merita di per sé, facendo vivere nella Granda, un po’ più in piccolo (ma in modo decisamente più amichevole e meno dispersivo), quel che si prova andando magari ad Avignone o Edinburgo. A Savigliano i luoghi dove si svolgevano gli spettacoli erano fondamentalmente cinque: il bellissimo Teatro Milanollo, l’Ala in piazza del Popolo (dove erano allestiti due differenti spazi davvero notevoli), il Museo Ferroviario (luogo dell’esibizione del Circo Vertigo) e ovviamente le due piazze principali (piazza del Popolo e la splendida piazza Santarosa).Sono stati anche cinque, a parere di chi scrive, le esibizioni più interessanti viste in questa tranche del festival.Ad esempio, “Arbeit” degli svizzeri Tr’espace (Ala, 5 luglio), che conducevano una riflessione quasi post-marxista sul rapporto tra uomo, produzione e automazione attraverso tecniche circensi (come il diablo) e un incredibile numero di macchine surreali, utilizzate per azioni spettacolari, poetiche e inquietanti allo stesso tempo. In scena, il leader del gruppo, il bravissimo giocoliere e performer Roman Müller, la pianista Eve-Anouk Jebejian e un assistente tecnico sui generis, il fotografo Philippe Deutsch, insieme per uno show raffinato, intelligente e visionario.Difficilmente definibile era anche “La pli i donn” dei Cirquons Flex (Milanollo, 2 luglio), celebrata formazione proveniente dall’isola della Réunion (territorio francese dell’Oceano Indiano).  Mescolando racconti personali, lingue, immagini, ritmi, canti, danza e circo, hanno costretto il pubblico ad adeguarsi ad una narrazione apparentemente frammentaria e dispersiva, poco occidentale insomma, conducendolo in un mondo altro. Con un finale (protagonista: la pioggia del titolo in creolo) davvero da brivido.Oggetto di giudizi contrastanti tra il pubblico ma molto originale, era “Douglas”, la performance di Robbie Synge (Ala, 6 luglio), uno degli artisti del ricco “Focus” dedicato alla Scozia. Utilizzando alcune sedie, della corda, del linoleum arrotolato a formare un grande tubo, alcuni faretti, suoni registrati e una radio, l’artista ha creato un microcosmo autistico composto da un lato dalla ricerca di equilibri impossibili e dall’altro da un confronto quasi autolesionista con la caduta e il fallimento, dove il corpo e gli oggetti si intersecavano a tratti pericolosamente, a tratti simbioticamente. Uno spettacolo che provocava molte emozioni agli spettatori complici.Molto, molto intenso era “PostProduzione” del coreografo campano Andrea Gallo Rosso (Ala, 2 luglio), il quale, accompagnato dagli altrettanto bravi Cesare Benedetti e Manolo Perazzi e da alcune scelte musicali particolarmente azzeccate (tra cui “Mountains Made of Steam” dei Silver Mt. Zion), ha offerto uno spettacolo fisicamente impegnativo (per i ballerini), visivamente affascinante e intellettualmente stimolante (per gli spettatori) sul rapporto decisamente attuale tra conflitti e identità (negata o eccessivamente affermata). In scena, solo i corpi e un microfono sospeso, strumento di autorealizzazione o di sopraffazione reciproca.Ma la sorpresa maggiore è stata però “Kudoku” del coreografo torinese Daniele Ninarello e del polistrumentista americano Dan Kinzelman (Ala, 2 luglio), spettacolo proveniente dalla Biennale Danza di Venezia (diretta da Virgilio Sieni). 20 minuti sconvolgenti, dove il corpo del ballerino interagiva in modo frenetico e nevrotico con la minacciosa musica creata (e in parte improvvisata) dal vivo con sax, sintetizzatore e loop station, tanto da sembrare il soggetto deformato di un quadro di Bacon. Si creava così una sorta di finestra su un mondo spaventoso, prima del finale dove il tutto finiva per ricordare la danza roteante rituale dei dervisci sufi.A parte questa personale”Top 5”, sono tanti ancora i lavori da segnalare.  Ad esempio, il breve ma potente “Postskriptum” del duo spagnolo Physical Momentum Project (Ala, 6 luglio), formato da Francisco Córdova Azuela e Kiko López, i quali raccontavano – con una danza a tratti aspra e violenta – le dinamiche di un addio. Oppure “Sarai” della Fattoria Vittadini (vista recentemente al Regio nell’opera lirica “La donna serpente”, in cui la compagnia curava le coreografie), dove Francesca Penzo ballava e interagiva col padre Renzo (psicologo e psicomotricista), in un confronto analogo a quello svolto recentemente in “Scena madre” da Antonella Bertoni (della compagnia Abbondanza & Bertoni) con la madre. Con momenti di grande (anzi, grandissima) emozione (il ballo su “My Baby Just Cares For Me” di Nina Simone), ma purtroppo con un finale un po’ spento, che forse andrebbe ripensato.Molto suggestivo  era invece “FS2 – Sinfonía Escénica de la Relación” del duo spagnolo Imaga (Melissa Scioscia e Ingrid Esperanza) che reinterpretava l’antica (ma ovviamente non molto consueta) tecnica acrobatica della “sospensione capillare”, una forma di circo aereo in cui il performer è letteralmente appeso per i propri capelli. Dedicato alle dinamiche del conflitto in una relazione, lo spettacolo, grazie anche ad un uso sapiente di luci e musiche, aveva momenti stupefacenti (ed impressionanti) di grande visionarietà, che bastavano comunque a superare il carattere un po’ ripetitivo e non sempre solido della drammaturgia.Spostandosi nell’ambito dei nuovi orizzonti del mondo circense, non si può non partire da “Mañana es Mañana” dei franco-catalani Cridacompany (Ala, 7 luglio), uno spettacolo surreale e divertente, pieno di sorprendenti usi dei corpi e degli oggetti (dalle patate alle palline da ping pong).Molto grazioso, anche se non proprio innovativo, era “Cromosoma – Vite in divenire”, un lavoro in bilico tra circo e danza degli italiani Artekòr Duet (Milanollo, 6 luglio), la vita di una coppia dall’infanzia alla vecchiaia. Molto più sperimentale era invece “Time for WE273’’” della compagniaBlucinQue diretta dalla torinese Caterina Mochi Sismondi (Ala, 6 luglio). Ispirato al lavoro su rumore e silenzio di John Cage, lo spettacolo intrecciava danza, teatro, tecniche circensi (dalla roue cyr al funambolismo in tacchi a spillo) e suoni creati dal vivo da una violoncellista e dagli stessi performer, percuotendo gli oggetti in scena, in un mix a tratti eccessivamente cerebrale che avrebbe bisogno di tagli e di maggiore compattezza drammaturgica. Molto raffinato e curato, ma non proprio coinvolgentissimo, era “Autour du Domaine” della francese Marion Collé (Milanollo, 7 luglio) la quale, ispirandosi ad un’opera del poeta bretone Eugène Guillevic dove il rapporto con la natura è letto in chiave animista e panteista, ha usato la tecnica del filo teso, proiezioni, elementi di danza e un uso della luce a tratti davvero fascinosa. Peccato che, nonostante i meriti, il tutto finisse per essere alla fine poco ipnotico e un po’ troppo ipnoinducente.Parlando di Savigliano, non si può non terminare con “TRK#1”, la grande esibizione in una piazza Santarosa gremita di pubblico (7 luglio) dei Nogravity4monks: un concerto dove, oltre ai quattro musicisti sul palco (tra cui originariamente c’era anche la violoncellista americana Julia Kent, già con Antony & The Johnsons), si aggiungeva un funambolo (Andrea Loreni), che suonava con i piedi una grande cavo d’acciaio di 60 metri dotato di speciali sensori e sospeso nel vuoto, tra l’Arco Trionfale  e il tetto di un palazzo della piazza. Musicalmente poco scontato e decisamente raffinato, uno show inedito e folle applaudito a lungo.

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