Cuneo – Gli inquirenti avevano iniziato a intercettare le sue telefonate da quando nel febbraio del 2020 si era proposto come paciere nella lite tra due famiglie sinti, in seguito ad una sparatoria all’interno del campo nomadi di Cuneo nel febbraio del 2020.
Dall’ascolto di quelle telefonate venne però fuori molto di più: G.B., 42enne residente a Cuneo, era coinvolto nell’attività pressoché quotidiana di furti in cui era impegnato il resto della sua famiglia, padre, madre, sorelle e cognati. Nacque così l’indagine ‘Family affairs’ che portò all’arresto e al rinvio a giudizio dei membri della famiglia coinvolti direttamente nei furti e che, in seguito al risarcimento di circa 80 mila euro alle vittime, si chiuse con il patteggiamento della pena da parte degli imputati. Tutti tranne G.B., l’unico figlio maschio della coppia, che nell’intera operazione avrebbe avuto il ruolo di rivendere la merce rubata, e per il quale la difesa ha preferito il giudizio ordinario. A suo carico l’accusa ha raccolto e ricostruito tutte le telefonate e le visite quotidiane ai genitori, non appena quelli rientravano a casa dalla loro attività che nel gergo familiare definivano ‘andare a mangiare’. Così, secondo la ricostruzione dell’accusa, ogni giorno lui si recava a casa dei genitori, prelevava la merce e la rivendeva.
La procura ha anche ricostruito i contatti e le telefonate con due gioiellieri di Cuneo. La tecnica dei furti era consolidata e svolta proprio come si fa in un’azienda, con auto e targhe false dedicate al furto. Le vittime erano sempre persone anziane che vivevano in casa isolate e la tecnica usata sempre la stessa: fingersi addetti di società di fornitura gas o elettricità, distrarre la vittima predestinata e poi rubare tutto quello che trovavano. Così avevano messo a segno una ventina circa di furti non solo in provincia di Cuneo ma anche ad Asti e nel torinese.
“Lui era pienamente consapevole di ciò che facevano i genitori – ha detto in aula il pubblico ministero Attilio Stea – tanto che la madre si vantava con lui di fare più soldi lei con papà di quanti ne facevano i mariti delle figlie che usavano le moto veloci e anche sistemi più violenti. In un’altra telefonata è proprio la madre che parla apertamente dei ruoli, distinguendo tra chi ruba e chi ricicla”. E quello di G.B. era un ruolo importante perché a lui spettava rivendere la merce, gioielli, orologi e tutto ciò che di valore era stato rubato. A lui la procura contesta il ruolo avuto in 9 episodi di furti e per quest’attività ha chiesto la condanna a 2 anni 8 mesi e 1200 euro di multa. Secondo la difesa invece dal dibattimento non sarebbero emerse prove necessarie a dimostrare questo suo ruolo di rivenditore della refurtiva, a partire da due statuine che l’imputato avrebbe dovuto rivendere ma che in realtà, secondo le testimonianze della difesa, G.B. avrebbe solo cercato di far stimare da un suo amico esperto per conto dei proprietari. Così come i due Rolex con cui parla al telefono con l’amico orefice, due orologi del valore di circa 30mila euro l’uno, sarebbero stati di sua proprietà, portati dall’amico orefice solo per aggiustarli e lucidarli. La difesa ha quindi chiesto l’assoluzione dall’accusa di concorso in furto in abitazione, e in subordine la riqualificazione del reato in ricettazione. Il 20 aprile ci sarà la sentenza.