Siamo appena agli inizi di una nuova storia, dopo la frustata impressale dal dramma della pandemia. Se sarà migliore o peggiore di prima è presto per saperlo, ma sappiamo che molti cambiamenti si stanno preparando.
Tra questi, un progressivo ritorno a casa di molte aziende europee, italiane comprese, che si erano delocalizzate all’estero, non senza problemi per l’occupazione locale. Il polo di attrazione era ad est: in parte i Paesi dell’Europa centrale e orientale e in parte l’Asia: la Cina in testa, diventata la “fabbrica del mondo” con alti ritmi produttivi e basso livello dei diritti fondamentali e bassi salari.
L’esperienza della dipendenza subita dall’Europa nel settore sanitario e non solo è servita da richiamo, con un percorso di ritorno che potrebbe riprodurre in senso inverso quello dell’andata e premiare tra i primi proprio i Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca), grazie ai bassi salari e alle “democrature” al governo.
Torneranno a casa pezzi importanti dell’industria manifatturiera, ma non necessariamente da dove erano partiti. Meglio che i governanti d’Europa, italiani compresi, lo tengano a mente.