Il sapore del cibo accompagna Duncan Okech nel suo viaggio dall’Africa all’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo. È un viaggio che è percepito fin da subito dal ragazzo come un riscatto personale e dell’intero continente. Il racconto si sviluppa come un lungo dialogo con un compagno di studi, Max, che appare come “spalla” sempre pronto a rilanciare la narrazione.
E l’autobiografia di Duncan si snoda tra continui riferimenti al cibo. A cominciare da semi di okra che Duncan ancora bambino va a raccogliere credendo che gli adulti li abbiano gettati via. È lì che capisce cosa significa seminare e, di riflesso, prendono corpo altre parole come attesa e raccolto. Parole che sempre dialogano con la sua condizione di bambino e poi di adolescente la cui “moneta della vita” è caduta dal verso sbagliato.
Ma non per questo si arrende. Nelle sue parole vibra un continuo lottare contro il destino. Consapevole che “le lacrime sono inutili, non sciocche”, Duncan passa attraverso la vita di strada dove la “colla” è niente più di una “magia” per sopportarla. Insegue il miraggio della scuola, strumento di riscatto. E questo percorso sempre più perde i contorni della lotta per la sopravvivenza per attingere a una “consapevolezza politica” che informa di sé le sue scelte.
E come per le lacrime “inutili”, così il racconto si nega a semplificazioni e superficialità facili. Emerge fin da subito la coscienza che sperimenta quanto la propria vita sia anche incontro tra due mondi. Culture di cui afferma l’irriducibile alterità talvolta con accenti polemici, ma più spesso per ribadire le peculiarità che non sono da misconoscere: “puoi pensarla come me, ma non sentire come me”.
E di nuovo è il cibo a dare le coordinate narrative. Nella povertà la spazzatura è mangiata, scrive in una delle pagine più dure, mentre in Europa affonda in sacchetti di plastica.
Dalla descrizione è facile passare alla riflessione lontano comunque dalla polemica, ma non senza qualche screziatura di rabbia. A Max dice: “scegli di vivere da povero, ma sai che puoi contare sulla ricchezza se ne hai bisogno”. E allarga anche lo sguardo: molte mani bianche aiutano, ma sono “anche le mani che ci hanno tolto di più”. Di qui la decisione: “mani nere che aiutano la nostra gente del Kenya, dell’Africa”. È su questa convinzione che Duncan incrocia i progetti di Slow Food, che arriva a Pollenzo e da qui riparte con il sogno di tornare in Kenya col suo bagaglio di conoscenze acquisite, ma anche con la sua storia che non rinnega affatto perché “non è colpa mia. È la mia storia”.
Tieni il suo sogno accanto a te
di Duncan Okech, Maria Paola Colombo
Giunti, Slow Food
17 euro