![Piero Guccione, Mattina di luglio a Punta Corvo (2001-2003)](https://media.laguida.it/uploads/2025/02/08145900/V-domenica-del-Tempo-ordinario.jpg)
Piero Guccione, Mattina di luglio a Punta Corvo (2001-2003)
Is 6,1-2.3-8; Sal 137; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
Leggendo questa pagina evangelica può essere d’aiuto evocare le immagini del mare o del cielo per cogliere in tutta la sua forza l’invito di Gesù: «Prendi il largo», traducibile anche con: «Va’ in acque profonde».
Richiesta esigente quella del Maestro, contraria alle nostre tendenze. Vai al largo, salpa, molla gli ormeggi, spiega le vele al vento e parti. C’è una necessità di rottura in vista di orizzonti vasti insperati.
Prospettiva non facile da accogliere, perché prendere il largo è anche un scendere nelle profondità di noi stessi.
E in questa discesa dentro di sé si può incontrare quel senso di insoddisfazione che ci abita quando si conteggiano i fallimenti dell’esistenza, quando si fa l’esperienza della distanza tra le energie profuse e l’avara restituzione della vita.
A tutti, prima o poi, viene la sensazione di aver pescato tutta la notte e di non aver preso nulla.
Quindi c’è da capirlo Pietro. Perché insistere su una volontà già indolenzita da mille prove andate a male? «Ci abbiamo provato tu la notte, Signore! Rispetta almeno la nostra stanchezza».
Se poi l’invito alla pesca è indirizzato al dare vita agli uomini, al tirarli fuori vivi dalle insidie impetuose del vivere, il senso di inadeguatezza aumenta.
La reazione di Pietro è simile a quella del profeta Isaia nel giorno in cui vide la gloria di Dio: «Ahimè! Resto ammutolito, perché sono un uomo dalle labbra impure, e abito in mezzo a un popolo dalle labbra impure». O come quella di Paolo: «Il Signore apparve anche a me, io che non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa».
Ma nello stesso tempo Pietro, almeno qui, è da ammirare per la spinta con la quale si rituffa nella fatica fidandosi sulla sola parola data di Gesù.
E ancora una volta Simone dice di più di quello che sa: rivela un impegno per tutta la vita, e non solo per quella giornata; confessa d’aver trovato la parola capace di dare un senso alla sua vita, liberandola finalmente dai tentativi faticosi e inconcludenti. È come se da quella pesca miracolosa nasca qualcosa di prezioso: un legame sempre più forte fra Pietro, che si sente indegno, e il Signore che gli vuole bene.
Il Signore ci incontra e ci sceglie ancora forse proprio per quella debolezza che conosciamo bene. Fingere di non avere ferite, o una storia accidentata, ci rende commedianti della vita. Se uno ha vissuto, ha delle ferite. Se uno è vero, ha delle debolezze e delle crisi.
E lì ci raggiunge la sua voce: «Pietro, disubbidisci alle reti vuote, ubbidisci a un sogno». Il Signore non giudica Pietro, lo allontana dallo schema del peccato.
Il vangelo, non è forse tutto qui, nella fiducia accordata da Colui che rivela il volto di Dio a tutti coloro che si sentono beffati, sconfitti, traditi, ingannati, vinti dalla vita? Una buona notizia per tutti quelli che si pensano scarti della vita, sgraditi alla grazia del divino, segnati dal sigillo dell’infamia e della maledizione?
«Non avere paura». Il miracolo non sono tanto le barche riempite di pesci, e neppure le barche abbandonate sulla riva, ancora cariche del loro piccolo tesoro. Il miracolo grande è che il Maestro non si lascia impressionare dai miei difetti, non ha paura del mio peccato e affida il suo Vangelo a gente dalle labbra impure, che condividono le fragilità di tutti.
Allora succede che, non semplicemente uno si riconcilia col quotidiano mestiere di vivere, ma diventa anche annunciatore di una grazia, di un sogno.
E piano piano quei pescatori cominciano ad ubbidire agli stessi sogni del loro Maestro. Questa è la sequela.