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Domenica 24 novembre 2024

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I medici piemontesi pensano di abbandonare la sanità pubblica

I sindacati medici: "Dalla Regione solo parole, che 480 assunzioni vengano stabilite sulla carta non conta, bisogna assumerli e trovare medici"

La Guida - I medici piemontesi pensano di abbandonare la sanità pubblica

Cuneo –  I medici piemontesi pensano di abbandonare la sanità pubblica: il 35% dei medici che sono oggi nelle corsie dei nostri ospedali vuole lasciare il pubblico.
E molti l’hanno già fatto, 330 solo nel 2022 il dato ufficiale e sembra siano ancora di più in questo 2023 appena finito.
Non bastano annunci e garanzie di tutele, i medici nel pubblico non stanno più bene e pensano di andarsene a causa dei tagli alle pensioni, ma soprattutto dei carichi di lavoro eccessivi, della retribuzione non soddisfacente e delle sirene del settore privato e dell’estero.
Lo rivela il sondaggio condotto da Fadoi, la Federazione internisti ospedalieri pubblicato a fine anno. E a rafforzare i dati dello scontento rilevati dal sondaggio c’è anche la dichiarazione congiunta, rilasciata a fine anno dopo l’incontro con la Regione, dai segretari regionali dei due maggiori sindacati medici, Chiara Rivetti dell’Anaao Assomed Piemonte e l’albese Sebastiano Cavalli della Federazione Cimo-Fesmed Piemonte.

“Abbiamo aspettato da luglio l’incontro con la Regione (l’Osservatorio regionale sulle assunzioni per la dirigenza medica e sanitaria avvenuto il 19 dicembre, ndr) – scrivono i due segretari – che si è purtroppo rivelato inutile. La Regione ci ha presentato dei dati, anche interessanti, ma con i dati non si copre il turno del giorno di Natale o della notte di Capodanno: servono medici. Che 480 assunzioni vengano stabilite sulla carta, in questo contesto storico di gravi carenze, non conta. Sono solo parole. Bisogna trovare gli specialisti, che le Asl nonostante bandiscano i concorsi, non trovano. L’unica speranza sono gli specializzandi ma questo regalo di Natale, che tanto aspettavamo, non è arrivato. I medici in formazione specialistica assunti fino ad ora non sono assolutamente sufficienti, soprattutto nelle specialità con maggiori carenze e negli ospedali periferici. Ci ritroveremo a gennaio, ma il destino del servizio sanitario regionale è segnato: se non si concretizzano con urgenza le assunzioni, molti reparti dovranno chiudere”.

Una situazione difficile per la sanità piemontese che rischia di perdere ancora personale nel pubblico nonostante gli sforzi. Il sondaggio di Fadoi è un’indagine dalla doppia faccia, perché se da un lato presenta uno scenario preoccupante sulla sanità pubblica dall’altra attesta il forte attaccamento di molti medici al servizio pubblico ovvero al diritto universale di salute. La voglia di lasciare la sanità pubblica interessa il 35% di quei medici non prossimi alla pensione, addirittura il 33% se potesse tornare indietro non si iscriverebbe più a medicina e non solo vuole lasciare il pubblico ma proprio la sanità e cambiare mestiere. Però ben il 57% dei medici non lascerebbe mai la sanità pubblica per “dovere” verso tutti i cittadini, il 16%  pensa che il bisogno di assistenza universale venga prima delle ragioni economiche, il 13% considera ancora più alta la qualità e la completezza degli ospedali pubblici rispetto a quelli privati e il 14% perché il pubblico è comunque una garanzia.

I problemi individuati dai medici non sono infatti qualità e neppure le strutture pur vecchie degli ospedali piemontesi, ma sono prioritariamente la carenza di medici e infermieri seguita dalla poca valorizzazione dei medici internisti, la carenza di posti letto e la scarsa integrazione con i servizi territoriali. Per sopperire alla mancanza di medici i colleghi chiedono (ben l’86%) l’impiego degli specializzandi nei reparti, l’assunzione di personale in più (51%), la riduzione dell’inappropriatezza prescrittiva (35%) e solo il 12% ritiene che il problema sia l’organizzazione e soltanto il 2% che gli straordinari meglio pagati possano aiutare la situazione e ridurre le liste d’attesa. È chiara dunque l’indicazione del sondaggio ma anche le richieste dei medici e degli infermieri e dei loro sindacati, ovvero ci vogliono più professionisti in corsia, anche più specializzandi e dunque più accessi garantiti prima alle Facoltà di medicina e poi alle Scuole di specializzazione.

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