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Lunedì 18 novembre 2024

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Fermare i massacri e ristabilire un vero processo di pace: questo il grido che si leva dal valico di Rafah

Said ha 45 anni e vive a Jabalya, cittadina nel nord della Striscia di Gaza, è un cooperante che collabora con Acs e Progettomondo, la Ong cuneese e veronese

La Guida - Fermare i massacri e ristabilire un vero processo di pace: questo il grido che si leva dal valico di Rafah

Said ha 45 anni e vive a Jabalya, cittadina che si trova nel nord della Striscia di Gaza, in questi giorni oggetto di incessanti bombardamenti da parte israeliana, cominciati dopo il terribile eccidio commesso da Hamas sabato 7 ottobre quando un attacco da terra, dal mare e dall’aria da parte dei suoi militanti ha sorpreso gli abitanti delle cittadine prossime al confine con la piccola porzione di terreno stretto tra Israele e il mar Mediterraneo.

Said lavora come giornalista e da tempo collabora con l’Ong ACS (Associazione di cooperazione e solidarietà) di Padova che a Gaza gestisce – insieme all’Ong Progettomondo, una Ong veronese come sede ma molto cuneese (per tanti anni è stata vicepresidente la fossanese Ivana Borsotto, oggi presidente nazionale della Focsiv, la federazione che raggruppa organizzazioni non governative italiane di ispirazione cristiana attive nel campo della solidarietà con i paesi in via di sviluppo) – alcuni progetti di aiuto alle frange più povere della popolazione palestinese. In queste ore si trova al valico di Rafah, in territorio egiziano, dove attende con ansia di poter passare la frontiera e di fare ritorno a casa, a pochi chilometri da Gaza.
Proprio in queste ore in base all’accordo annunciato ieri, dopo la visita di Biden in Israele, 20 camion carichi di aiuti per Gaza inizieranno a muoversi attraverso il valico di Rafah con l’Egitto domani venerdì 20 ottobre. L’apertura con la rimozione degli sbarramenti consentirebbel’uscita di cittadini stranieri e di palestinesi con doppia nazionalità e l’introduzione a Gaza degli aiuti umanitari. Il valico riapre dopo i lavori da fare sulla strada, distrutta dai bombardamenti di Israele che si è impegnata a non impedire che cibo, acqua e medicine raggiungano la popolazione civile (ndr).

Said, perché in questo momento si trova in Egitto e non nella Striscia?

Il 7 ottobre mi trovavo in Europa per accompagnare una persona in visita a un parente malato, per cui non ho vissuto quelle ore concitate. Appena ho potuto, però, ho fatto ritorno in Medio Oriente ma, com’è noto, la frontiera che divide la Striscia e l’Egitto (Rafah) da giorni è chiusa ermeticamente e ho pensato che l’unica cosa che potessi fare, per rientrare il prima possibile tra i miei cari, fosse quella di portarmi il più vicino possibile al valico, così da attraversarlo non appena questo sarà riaperto.

Da quanto collabora con le due ONG italiane e di cosa si occupa?

Conosco ACS e Progettomondo da un po’ di tempo e, quando serve, collaboro con loro per cercare di alleviare le condizioni di chi soffre e sta peggio, a prescindere dall’appartenenza e dalla nazionalità; e in questo momento chi soffre di più è proprio chi vive nella Striscia.

I suoi cari vivono nella Striscia mentre lei si trova a pochi chilometri da loro ma senza la possibilità di incontrarli. Immagino l’enorme sofferenza e il senso di impotenza…

Tutta la mia famiglia vive nella Striscia. I miei figli, mia moglie, mia madre, i miei fratelli e sorelle, gli amici e i compagni di una vita: tutti loro in questo momento sono esposti al fuoco che arriva incessantemente dal cielo e per me è difficilissimo sapere di non poterli raggiungere. Spero quindi che il valico venga aperto il prima possibile perché così non riesco più ad andare avanti. Qui le notizie sono confuse e contraddittorie: di tanto in tanto gira la voce che tutto sta per muoversi, ma poi nulla si muove e stiamo qui ad aspettare contando le ore. Nel frattempo cerco di rendermi utile dando una mano ai feriti e a chi ha più bisogno.

Come la mia, centinaia di famiglie vivono in queste ore l’orrore dei bombardamenti. L’aviazione israeliana sta continuando a colpire la Striscia da nord a sud. L’abitazione di alcuni miei fratelli è stata bombardata, così come le loro auto. Le circa quaranta persone che compongono il mio nucleo familiare vivevano fino a poco tempo fa in un condominio che non volevano abbandonare per nessuna ragione, dicendo che “o si viveva insieme o si moriva insieme”, ma alla fine, fortunatamente, hanno deciso di separarsi e di distribuirsi in varie parti della città, così nel caso di bombardamento non corrono il rischio di morire tutti insieme. La situazione è difficilissima, non riesco a descriverla a parole. Di tanto in tanto riesco a comunicare con mia madre, che ha più di 80 anni: una donna anziana che difficilmente riesce a muoversi o addirittura a scappare. Anche mia moglie e i miei figli stanno vivendo l’angoscia di queste ore, e sono loro a descrivermi quello che vedono e sentono ogni giorno, soprattutto il frastuono delle bombe che copre ogni altro suono e genera paure inimmaginabili. Non vedo l’ora di riabbracciarli.   

Qual è la sua speranza in queste ore? Che futuro immagina per sé e i suoi connazionali?

Innanzitutto vorrei che finisse il prima possibile l’occupazione della mia terra per poter vivere in libertà, senza più le sofferenze di questi anni. Vorrei non dover più sentire l’esplodere delle bombe e vedere i miei figli crescere in pace, ma una pace vera, all’interno di uno Stato riconosciuto e definitivo, per poter finalmente esercitare il diritto di cui gode la maggior parte delle persone nel mondo. Ma per fare questo deve cessare l’occupazione. Tuttavia nell’immediato vorrei che i bombardamenti si interrompessero così da correre a riabbracciare la mia famiglia, mia moglie e i miei figli. Ma purtroppo le cose stanno peggiorando di ora in ora, e i morti sono ormai migliaia. Bisogna fermare questo massacro contro il mio popolo.

È possibile seguire lo sviluppo di quanto sta accadendo nella Striscia di Gaza in queste ore drammatiche consultando i siti web delle due ONG presenti su quel territorio (www.acs-italia.it e www.progettomondo.org).

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