È conosciuto con un nome, “alla buona”, eppure il “buco del Viso” ha le carte in regola per atteggiarsi a primo traforo transalpino della storia. Poco più di una settantina di metri, scavati a un’altezza tale da impedirne l’uso per motivi meteorologici, come potrebbe competere con le moderne gallerie! Per capirne l’importanza però bisogna cambiare metro di misura. È questione culturale a segnare il primato non solo cronologico del “buco”. Se poi si considera periodo e tempi di realizzazione ci scappa anche qualche ironia su ben altri odierni trafori.
Sergio Beccio ricostruisce dettagliatamente la storia dei lavori. Il contesto politico ed economico è essenziale per comprendere l’importanza dell’opera. “I flussi e gli scambi lungo il vallone delle Traversette sfumano nel mistero della Preistoria”. Riservando qualche accenno alle età più antiche, l’autore si sofferma soprattutto a quanto sta accadendo nel XV secolo.
L’alta valle Po è luogo di transito commerciale. La via del sale fa capo ai magazzini di Revello. Si è sviluppata una microeconomia che trova nel trasporto della merce lungo i sentieri alpini, una fonte di reddito complementare alla magra agricoltura e all’allevamento. Il contrabbando stesso non va letto in termini di semplice illegalità, ma come attività economica collaterale seppure “sommersa”.
Assicurare un transito rapido e controllabile per il Marchesato di Saluzzo significa una fonte di reddito attraverso le gabelle, ma anche entrare a pieno titolo nelle reti commerciali europee. L’autore sostiene anzi il carattere internazionale del “buco” in quanto in quel momento di fatto il Marchesato era parte dell’impero germanico confinante con il Delfinato francese.
Intorno a questo concetto si aggrega la ricostruzione storica del libro che ripercorre le tappe e i metodi di realizzazione, ma soprattutto sottolinea la funzione di comunicazione che viene ad assumere l’opera. Attraverso il “buco” passano eserciti, ma anche commerci, persone di varia estrazione. Circolano idee. Si costruisce un dialogo transfrontaliero che solo miopi interessi politici a più riprese hanno frenato o impedito.
Il “buco” ha conosciuto alterne vicende fin quasi all’abbandono, ma i tempi cambiano nel secolo scorso. Il rinnovato interesse per la montagna sposta l’attenzione dall’aspetto economico a quello escursionistico. Quel che prima era via di comunicazione commerciale ora diventa attrazione turistica ricca di storia, consapevole dei propri primati. Torna a confermarsi nell’ottica, un po’ romantica ma certo veritiera, di una risposta al bisogno di andare oltre: “le Traversette erano un simbolo perché chiudevano in alto la valle, di là c’era un mondo diverso, altra gente, altro parlare”.
Il buco di Viso
Sergio Beccio
Fusta
25 euro