Nel 2022 sono stati rinnovati 14 comitati di quartiere e di frazione a Cuneo. In virtù dei risultati delle elezioni, oggi nei 21 comitati del capoluogo provinciale la presidenza è ricoperta da uomini per il 95,2% del totale, ossia da 20 uomini e 1 donna. Sul fronte delle conquiste femminili il dato è a dir poco deprimente.
Per fare un’analisi approfondita e porci interrogativi che non si fermino alla sterile polemica dobbiamo mettere giù un po’ di dati. Sui 14 comitati andati al voto di cui sopra possiamo rilevare come la percentuale di donne candidate sia stata bassa, se consideriamo che ormai siamo nel 2023 e facciamo parte di una famiglia di nazioni europee che su questo fronte, perlomeno in alcuni casi, sono un pochino più avanzate: complessivamente solo il 30,15% (189 candidati, 57 donne). Alcuni comitati si sono attestati su medie più alte (Basse di Sant’Anna/Borgo Nuovo, con il 57,14% di donne in lista), altri non hanno candidato nemmeno una donna (Spinetta) o lo hanno fatto in percentuali risibili (22% di Roata Canale e Confreria), altri ancora hanno visto elette al primo posto delle donne che poi non hanno ottenuto la presidenza per diversi motivi, in certi casi anche condivisibili, come laddove si è scelto di privilegiare un giovane a scapito di personalità più “navigate”.
Riteniamo indispensabile oggi interrogarci sulle ragioni che hanno portato a percentuali così basse di rappresentanza femminile. Le donne hanno scelto volontariamente di non candidarsi? Alle donne non interessa impegnarsi in questo tipo di ruoli? Lo sbilanciamento verso il sesso maschile ha a che fare con una qualche forma di rassegnazione, o di convinzione che gli uomini siano più portati per certi ruoli politico-istituzionali?
È fondamentale oggi riflettere sulla presenza femminile in ambito politico, perché poco importa che Cuneo abbia appena eletto la sua prima sindaca (di nuovo: siamo nel 2023, e se consideriamo solo il periodo dell’Italia repubblicana fa 10 uomini contro 1 donna), ancora meno che a Roma si sia insediata la prima Presidente del Consiglio dei Ministri donna, che peraltro ha già dato ampia dimostrazione di essere a dir poco aliena al mondo delle rivendicazioni femministe: oggi rimane radicata e pressoché intatta in tutto il Paese e nelle sue istituzioni la struttura patriarcale del potere politico e della rappresentanza, figlia di una società che in buona parte, e nonostante alcune piccole conquiste, vuole ancora che le donne si conformino a un modello di subordinazione familiare (donna di casa, donna angelo del focolare a cui spettano le cure di bambini, anziani, compagni, etc.) che penalizza le loro possibilità in ambito sociale, professionale e politico. Il basso numero di donne che partecipano alla vita della res publica, e che raggiungono posizione di potere, che sia alla direzione di un partito o a quella di un giornale, di un’università, di una grande azienda, o ancora di un comitato di quartiere, origina da un accesso alla vita politica e al potere ancora troppo elitario, perlopiù prerogativa degli uomini.
Pensiamo al dibattito che si è acceso intorno alle figure femminili candidabili alla Presidenza della Repubblica, un anno fa. La volontà di candidare delle donne da parte di una certo ambiente politico c’era, ma di fatto mancavano figure che potessero effettivamente ricoprire il ruolo perché in possesso di un curriculum all’altezza di tale posizione. E quindi le domande che dobbiamo porci sono: perché le donne non sono in grado di costruirsi curriculum di pari dignità rispetto a quelli maschili, perché non vengono date loro pari possibilità di accesso e pari strumenti?
Domande ancora più urgenti se consideriamo che le donne costituiscono quasi il 60% dei laureati in Italia e registrano performance migliori sia in termini di regolarità negli studi sia di voto di laurea, ad esempio. Il primo “Rapporto tematico di genere” realizzato dal Consorzio interuniversitario AlmaLaurea, pubblicato a inizio 2022, evidenzia anche che le donne hanno migliori performance pre-universitarie e provengono più frequentemente da percorsi liceali. Allora perché i posti di dirigenza, i lavori più riconosciuti, la retribuzione maggiore e una contrattualizzazione più stabile restano appannaggio del genere maschile? Dov’è la meritocrazia di cui tanti e tante si riempiono la bocca?
Le condizioni necessarie per un accesso equo alla politica sono ancora molto lontane dall’essere raggiunte nel nostro Paese, e Cuneo non fa eccezioni, anzi. Eppure dovrebbero essere quasi scontate, e si dovrebbero generare a livello prima culturale e poi istituzionale, partendo dai contesti familiari, scolastici, amicali, per prendere poi forma nelle leggi e nel linguaggio, negli usi e nei costumi quotidiani, grazie tanto alle donne quanto agli uomini. Di fatto oggi permane una forte iniquità di trattamento dei congedi familiari e quotidianamente, dalle istituzioni alle famiglie, la donna viene riportata al ruolo di angelo del focolare o al senso di colpa per le proprie scelte. Parimenti spesso l’attivista donna è in minoranza nei vari consessi a cui partecipa, con un coro di voci maschili che tuonano più forti e sicure. Salire su un palco per tenere un discorso significa spesso esporsi al giudizio sull’abbigliamento, sulla piega dei capelli, sulle forme e la bellezza piuttosto che sul contenuto del discorso stesso; e ancora freme quella voce che attraversa i corridoi, che insinua che se una donna ha raggiunto una determinata posizione sicuramente deve aver offerto la propria vagina al capo o leader di turno.
Sono queste le motivazioni che hanno portato alla bassa partecipazione femminile alle elezioni dei comitati di quartiere e di frazione di Cuneo? Sono queste le motivazioni che hanno portato a scegliere presidenti uomini anche laddove le donne avevano ottenuto più voti? Possiamo ipotizzare che proprio a causa di tutti questi ostacoli, anche le donne di Cuneo si siano tirate indietro, e che loro stesse non si siano sentite pronte per quest’avventura perché meno equipaggiate, dal punto di vista delle competenze e dell’esperienza maturata sul campo, rispetto agli uomini. Di questo, siamo tutte e tutti responsabili.
Alla luce di ciò, riteniamo pertanto che dalla presa di coscienza di una situazione di grande arretratezza, culturalmente e politicamente desolante, debba partire un moto di cambiamento radicale. A Cuneo si sta andando verso una modifica del regolamento dei comitati di quartiere e di frazione, e accogliamo con favore la proposta della Consulta dei quartieri di introdurre il voto di genere per i comitati, per cui le tre preferenze che si dovranno esprimere non potranno essere tutte sbilanciate su un genere.
Ma riteniamo che non sia abbastanza: con la convocazione della VII Commissione Comunale (Regolamenti), tra le varie questioni da prendere in considerazione vorremmo anche che ci fosse una proposta molto semplice, che forse potrebbe iniziare a smuovere qualcosa, e cioè che ogni comitato sia tenuto a nominare un presidente uomo e una presidente donna a co-dirigerlo. Non si tratta di quote rosa: è un semplice messaggio di parità che potrebbe spronare più donne a partecipare alla vita pubblica, e a portare proprio nell’agone pubblico quelle problematiche che sono ancora di ostacolo a una loro piena realizzazione sociale, professionale, politica.
Cuneo Possibile