Borgo San Dalmazzo – Sala della biblioteca stracolma, a Borgo San Dalmazzo, per l’incontro con Lidia Maksymowicz, reduce del campo nazista di concentramento di Auschwitz-Birkenau, invitata a Borgo dall’amministrazione comunale.
Lidia aveva tre anni nel 1943, quando venne deportata su un carro bestiame – insieme alla mamma e ai nonni, “colpevoli” di aver aderito alla resistenza bielorussa – e poi destinata, nel campo di concentramento, alla “baracca dei bambini” da dove prendeva le sue cavie il dottor Joseph Mengele.
Sopravvissuta agli orrori del campo e agli esperimenti di Mengele (un destino riservato ad appena 200 bambini, 40 dei quali suoi coetanei), fu adottata da una famiglia polacca e solo 17 anni dopo scoprì che la madre naturale era anche lei scampata al lager e, dopo lunghe e complicate ricerche, la potè riabbracciare.
Lidia, oggi ottantantaduenne, ha raccontato la sua storia nel libro intitolato “70072 La bambina che non sapeva odiare. La mia testimonianza” con la prefazione a cura di Papa Francesco che, in occasione di un incontro, si fermò a baciarle il tatuaggio impresso sul braccio.
Grazie alla collaborazione dell’associazione “La memoria viva” di Castellamonte e all’interessamento del borgarino Roberto Dutto, Lidia Maksymowicz è stata ospite di Borgo per tre giorni.
“Mi sento in obbligo di raccontare la mia storia come tributo nei confronti di chi non è sopravvissuto – ha detto Lidia -, a loro devo la mia testimonianza. Io sono rimasta fedele ai valori cristiani ed europei in cui sono stata educata e cresciuta: non è importante da dove proveniamo, ma quali valori rispettiamo. Sono stata salvata dalla Provvidenza e sento che sono stata salvata per un compito: quello di dare la mia testimonianza come monito. Dobbiamo essere consapevoli che la pace non è data una volta per sempre, ma è un qualcosa di cui dobbiamo continuamente prenderci cura”.
Molti i riferimenti anche al presente, in particolare alla guerra in Ucraina, con un forte appello a sostenere il popolo ucraino: “Gli ucraini hanno diritto a vivere in pace nel loro paese, dobbiamo continuare ad aiutarli, non è il tempo dell’indifferenza. La Russia va fermata”.
Rispondendo alle tante domande del pubblico (che l’ha più volta interrotta con prolungati applausi, tributandole anche una standing ovation) ha poi aggiunto: “La radice della tragedia della Shoah è nell’affermarsi di due ideologie contrapposte, ma entrambe sbagliate, portatrici di odio e guerra. Non ho ceduto all’odio, perché l’odio è una forza distruttiva. Se avessi avuto dentro di me sentimenti di odio e volontà di vendetta, non avrei potuto vivere una vita normale. Dobbiamo ricordare la storia per non ripeterla, ma in Europa in questo secolo non ci siamo riusciti”.
Toccanti i ricordi dei 13 mesi di internamento ad Auschwitz, tra sporcizia, freddo, topi, dissenteria e, peggio di tutto, la solitudine, la separazione dalla mamma, l’assenza di ogni sentimento di amicizia e solidarietà.
Ma lo sguardo di Lidia più che al passato è rivolto al futuro: “Nonostante tutto, credo che, grazie a Dio, torneranno la giustizia e la pace. Tutti possiamo e dobbiamo dare il nostro contributo per costruire un mondo dove le madri non debbano più piangere i loro bambini nè i bambini piangere i genitori”.