Dalla gastronomia alla moda: seppur spiazzante l’accostamento viene proposto da Dario Casalini che in materia di tessuti se ne intende in quanto guida di un’azienda di famiglia del settore tessile. Il manager incrocia poi il pensiero di Carlo Petrini.
Il cibo nel piatto o in dispensa, il capo che si indossa o dorme silente nell’armadio: ambedue non disdegnano il piacere, anche quello raffinato; sono soggetti a logiche di mercato; smuovono interessi economici che significano ricadute su forza lavoro, mestieri, tenore di vita ragionevole, equità nella distribuzione dei guadagni. Insomma anche nel tessile l’analisi tecnica ed economica sfuma presto nella riflessione etica, chiama in causa la coscienza civile e umana.
Più del cibo però, secondo Casalini, il tessile è soggetto a sperimentazione e a innovazioni lungo tutta la filiera dalla produzione al marketing.
Di qui lo sviluppo del saggio che parte dalle conseguenze a livello ambientale della produzione e ravvisa nella corsa al consumismo una delle occasioni di inquinamento e impoverimento del pianeta. Lo scollamento tra l’atto del produrre e quello del consumare ha ricadute sugli effettivi bisogni della comunità in quanto si muove lungo direttrici divergenti in cui gioca un ruolo fondamentale anche l’informazione, e in modo particolare, la pubblicità assieme a un modello di vita che dà spazio all’estetica. Il bello vanifica l’utilità pratica del tessuto a scapito della qualità.
Gli aspetti problematici di questa produzione di massa risultano molteplici. L’autore non si ferma al piano strettamente economico, pur riconoscendone la centralità. La ricerca del guadagno significa incidere sulla manodopera ridotta a “costo da abbattere”. La delocalizzazione sembra il toccasana in un’ottica di profitto, ma, oltre al correlato sfruttamento dei lavoratori, alla lunga anche questa pratica si inserisce in un circolo vizioso che finisce di appoggiarsi e favorire la malavita e l’immigrazione clandestina.
L’autore sostiene un’alternativa possibile che ruoti intorno ai tre aggettivi del titolo, cui se ne aggiunge un terzo “durevole” a sottolineare un aspetto culturale sottovalutato: il progressivo rapido oblio in cui cadono abilità manuali e mestieri che provvedano a riparare eventuali danni. Sulla riparazione si è imposta la sostituzione, cioè l’acquisto. Una pratica non disgiunta dalla crisi della relazione cliente-commerciante basata sulla fiducia e sulla competenza a favore dell’efficienza di vendita. Sul terreno della salvaguardia dei principi di sostenibilità, di equità, di qualità, sostiene l’autore, può svilupparsi una filiera che insieme valuti il tessile anche nella sua dimensione culturale rispetto sia al produttore di materia prima sia al fruitore del prodotto finito.
Vestire buono, pulito e giusto
di Dario Casalini
Slow Food
16,50