“Tutti vittime, tutti sconfitti”: Ferruccio Ferreri sintetizza così la guerra vissuta a fianco di molti altri giovani sul fronte russo. È un racconto che, nella semplicità del linguaggio, unisce ironia e amarezza, senso di solidarietà e spirito di sopravvivenza.
Nativo di Garessio, Ferreri racconta gli anni Venti e l’infanzia spulciando nell’“archivio cerebrale”. Vi trova momenti di serenità, almeno fino alla crisi della Vetraia Polti dove suo padre è impiegato, incontri con maestri cui il Fascismo va stretto e immagini della retorica di regime. Quattordicenne è ad Alassio apprendista parrucchiere, un mestiere che gli sarà utile anche negli anni successivi. Poi è a Torino ancora come parrucchiere, finché viene rispedito a Garessio: considerato “abusivo” doveva lasciare il posto di lavoro ai reduci della guerra di Abissinia.
L’ombra della guerra entra così nella sua vita, presenza sempre più ingombrante fino alla chiamata alle armi nel 1940. La descrizione dell’ambiente di caserma è impietosa: nonnismo, pidocchi e topi ghiotti dei lacci delle scarpe, armi della prima guerra mondiale. L’eco della spedizione in Grecia si gioca ironicamente sull’eroismo di propaganda: “l’atto più emblematico della nostra guerra era l’attacco alla baionetta, ma la baionetta dei greci era di una spanna più lunga della nostra”.
La speranza di “poter affrontare il destino che ci aspettava alla meno peggio” si infrange nel 1942 con la partenza verso la Russia con la sempre più netta sensazione di essere “in casa d’altri per occupare, rubare, uccidere”. Chiara è anche la percezione della compassione e solidarietà con le popolazioni locali. Non gli viene però meno il senso dell’ironia quando parla del primo attacco contro polli e oche e la battaglia nei cortili e nei pollai per riuscire a mangiare, incursione prontamente riletta dai giornali del regime come “atto eroico”.
Niente eroismo, ma solo un’umanità dolente eppure scossa dignitosamente da rabbia è sfondo umano al periodo della prigionia in Siberia dove conosce un’altra propaganda, quella comunista, vissuta però più vicina alla propria sensibilità. Nessuna incursione comunque nel politico. Ogni accento di amarezza è fondato sul senso di umanità tradita e lo guida a scrivere queste pagine autobiografiche “per quel senso di necessità che ognuno, avverte, ad una certa età, di fare un bilancio” finalmente libero dall’urgenza di cancellare ogni bruttura che è la prima reazione del reduce.
A cent’anni ancora ricordo
di Ferruccio Ferreri
Primalpe
12 euro