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Martedì 12 novembre 2024

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A processo per aver pestato a sangue un agente di commercio

L'aggressione, avvenuta nel 2015, per una foto apparsa sui social in cui la vittima era troppo vicina alla moglie di un suo conoscente

La Guida - A processo per aver pestato a sangue un agente di commercio
L'edificio del tribunale di Cuneo, in piazza Galimberti.

 

Mondovì – Pestato a sangue perché in una foto pubblicata sui social era troppo vicino alla moglie di un suo conoscente. Sarebbe questo il movente dell’aggressione subita da un ex agente di commercio del monregalese il 6 settembre del 2015 mentre si trovava in auto nel parcheggio dell’ex supermercato Ekom.  Per questo motivo A.N., cittadino albanese residente a Mondovì, è stato processato al tribunale di Cuneo con l’accusa di lesioni e minacce.
“Ci eravamo conosciuti un anno prima – ha riferito al giudice la vittima dell’aggressione – grazie ad amici comuni con sua moglie. Poi quella sera di settembre ero andato a bere un aperitivo in un bar con dei colleghi ed ero stato fotografato insieme alla moglie di A.N.. In realtà eravamo lontani e forse quello fu solo un pretesto per derubarmi del mio Ipad”. Quel pomeriggio nel parcheggio del supermercato A.N. e  G.V., suo amico e conoscente della vittima, erano saliti sull’auto del giovane agente di commercio e lo picchiarono a sangue, procurandogli la perforazione di un timpano che lo portò ad una momentanea perdita dell’udito. Prima di andarsene uno dei due aggressori portò via anche un Ipad. Per il reato di rapina i due uomini sono stati già giudicati dal giudice dell’udienza preliminare e A.N. è stato assolto; il procedimento in corso riguarda infatti solo le lesioni e le minacce per le quali è stato rinviato a giudizio solo A.N. Qualche giorno dopo, la parte offesa avrebbe ricevuto anche delle telefonate minatorie dall’imputato, “mi diceva che sarebbe venuto a cercarmi – ha riferito in aula l’uomo -, mi disse che mi avrebbe ammazzato”. A conclusione del processo il pubblico ministero Raffaele Delpui, parlando di un’aggressione brutale testimoniata dal certificato medico e dalle tracce di sangue trovate sull’auto, ha definito la modalità esecutive di quella vendetta quasi come un sequestro di persona e ha chiesto la condanna ad 1 anno e 1 mese di reclusione, mentre la difesa ha contestato l’accusa di lesioni sostenendo che non fosse stato il suo assistito ad averle procurate e che le telefonate dei giorni successivi erano volte a chiarire che lui non era responsabile.
Il giudice ha condannato l’imputato a 9 mesi di reclusione con la sospensione della pena.

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