“L’associazione ritiene fondamentali al raggiungimento di una evoluzione comportamentale rapporti umani qualitativamente nuovi fatti di amore e responsabilità capaci di vincere la solitudine; spazi per condurre una vita normale, dove ci sono gli impegni che l’assistenza quotidiana offre; un’attività lavorativa strettamente collegata con gli altri momenti e aspetti dell’intervento educativo”.
Questa era la prima frase dello statuto della comunità Luca e Fabio che dal 1984 al 1995 ha accolto ragazzi tossicodipendenti.
Di Villa Bocca, la struttura che ospitava la comunità, oggi rimangono solo le mura di cinta e l’edificio principale, svuotato e lasciato in balia della natura.
Il volto della memoria
Emanuele Costamagna è stato volontario nella struttura e ha creduto nel sogno di creare un luogo che desse una nuova vita ai ragazzi a cui la droga aveva tolto tutto. Ha condiviso le fatiche necessarie a garantire una presenza continuativa tutto il giorno e tutti i giorni dando tutto se stesso.
Dopo ventiquattro anni siamo tornati insieme a villa Bocca.
Per arrivare sul posto ha percorso in macchina la stessa strada che faceva tutte le settimane per arrivare al grande portone di via Bodina 51, ora via del Pilone. Sceso dalla macchina ha appoggiato la mano alla maniglia e l’ha scossa, ma la catena che chiudeva i due battenti non gli ha permesso di aprire il cancello ed entrare nel vialetto come in passato.
Abbiamo camminato lungo il perimetro della villa, costeggiando le mura di cinta e calpestando l’erba secca e pungente che è cresciuta tutt’intorno. Il giardino che i volontari e i ragazzi ospiti avevano curato per anni potando gli alberi e le siepi, innaffiando i fiori e falciando l’erba, ora è un groviglio di arbusti.
Sul retro dell’edificio c’è un cancello da cui si vedono i resti della comunità Luca e Fabio.
La vita in comunità
Nel 1961 la villa e i terreni circostanti vennero donati all’ospedale dall’avvocato Luigi Bocca, deceduto in un letto del Santa Croce e rimasto senza eredi. La villa divenne prima residenza per le suore che lavoravano in ospedale, poi centro ricreativo per i dipendenti.
Nel 1984, per iniziativa di don Giorgio Ghibaudo, parroco del Cuore Immacolato di Maria sorse la comunità Luca e Fabio che poco dopo, tramite una convenzione con l’U.S.S.L. 58, ottenne l’usufrutto di villa Bocca. Fabio, un ragazzo morto di overdose su una panchina davanti alla Chiesa del Cuore Immacolato, e Luca, un bambino dello stesso quartiere morto per leucemia, diedero il nome alla struttura.
“I ragazzi – racconta Emanuele – arrivarono in abbondanza, perché il problema della droga era presente non solo a Cuneo ma anche nei paesi vicini. I volontari non mancarono: furono numerose le persone che prestarono il loro aiuto. Non eravamo preparati a livello psicologico, ma con il buon senso, la vicinanza, la pazienza, insegnavamo loro a lavorare, cercavamo di essere un esempio. Faceva pena la tristezza e la sofferenza, non solo fisica ma anche interiore, che avevano e che li distruggeva. Vederli riacquistare la vita per noi era una grande soddisfazione”.
Gli ospiti, soltanto maschi, variavano tra i 5 e i 20: alcuni rimanevano per pochi mesi, altri per un paio di anni, quando si sentivano pronti per autogestirsi uscivano, con la promessa di ritornare ad informare delle loro condizioni. I volontari affidavano dei compiti giornalieri ai ragazzi per curare la struttura e insegnavano loro un mestiere. Emanuele si occupava dell’orto, altri insegnavano a lavorare il ferro, il rame e il legno: avevano comprato degli attrezzi apposta e costruito insieme un capannone.
L’abbandono
Di tutto questo rimane solo le scheletro di villa Bocca, vuoto e abbandonato da quando, nel gennaio del 1995, la convenzione tra la comunità e l’ospedale è stata revocata.
“Erano subentrate delle difficoltà — ricorda Emanuele — con l’introduzione di una nuova legge: avevamo bisogno di assumere degli educatori qualificati. Non era nulla di irrisolvibile però. Avevamo già preso accordi con don Oreste Benzi per il subentro della comunità Papa Giovanni XXIII”.
L’architetto Edoardo Cavallo, che all’epoca era consulente dell’ospedale per il patrimonio storico e immobiliare, ricorda il suo ingresso nella villa per fare il sopralluogo: “avevano iniziato a rubare ciò che si trovava all’interno della struttura e avevano spaccato i vetri delle finestre. Avevano sfacciato ogni cosa. Era una villa di quasi 700 m2 che necessitava di grandi interventi per essere rimessa a posto”.
L’accordo con tra l’ospedale e la comunità Papa Giovanni XXIII si raggiunse con l’impegno da parte di quest’ultima di provvedere al restauro. I lavori iniziarono nel 2003 ma nel 2007 il cantiere venne interrotto a causa della mancanza di fondi. Alla Papa Giovanni venne proposto di prendere in concessione Cascina Zoccolare a San Pietro del Gallo e villa Bocca venne nuovamente abbandonata.
Nel 2011 l’ospedale ipotizzò di trasformare la villa in una comunità di accoglienza per ragazze con disturbi alimentari, ma gli interventi richiesti per la messa in regola dell’edificio erano troppo incisivi e ne avrebbero stravolto il patrimonio storico.
Da allora villa Bocca rimane in attesa del suo destino.
Racconta un ricordo
“Barrabás arrivò in famiglia per via mare, annotò la piccola Clara con la sua delicata calligrafia. Già allora aveva l’abitudine di scrivere le cose importanti e più tardi, quando rimase muta, scriveva anche le banalità, senza sospettare che, cinquant’anni dopo, i suoi quaderni mi sarebbero serviti per riscattare la memoria del passato, e per sopravvivere al mio stesso terrore.” La casa degli spiriti, Isabel Allende Se anche voi, come Clara, avete annotato su un taccuino o semplicemente nella vostra mente alcuni episodio che riguardano villa Bocca scriveteceli, serviranno per riscattare la memoria del passato nell’attesa di costruire un futuro.