Manta – Il Castello che domina il paese, signorile dimora come appare oggi, è il risultato di diverse sovrapposizioni sul fortilizio originario del XIII secolo. Gli interventi edilizi più significativi furono realizzati nei primi decenni del Quattrocento da Valerano, figlio naturale del marchese di Saluzzo Tommaso III e capostipite della casa Saluzzo della Manta. Altre radicali trasformazioni vennero eseguite nella seconda metà del Cinquecento da Valerio Saluzzo della Manta e dal cugino Michele Antonio, i quali affiancarono al nucleo medievale due maniche a ovest e a nord-est. Nel primo Seicento, per problemi di successione e vendite, iniziò una progressiva decadenza. Alla fine del Settecento, già in fase di estinzione la casata dei Saluzzo della Manta, il castello cadde in uno stato di totale abbandono, da cui fu salvato nella seconda metà dell’Ottocento dai nuovi proprietari, i Radicati di Marmorito, che recuperarono il salvabile e abbatterono l’ala fatiscente di nord-est risalente all’epoca di Valerio. L’edificio in cui si apre il portale ogivale d’ingresso è stato aggiunto da Michele Antonio Saluzzo della Manta intorno al 1560. A sinistra c’è l’ampia tinaia con volta unghiata a botte, a destra lo scalone sette-ottocentesco di accesso agli appartamenti, con due lunghe rampe aperte verso la corte su due loggiati sovrapposti. Lungo la seconda rampa vi è l’accesso al cucinone, con ampio camino e pozzo. L’ingresso al piano nobile è sormontato dallo stemma Radicati con il motto “Wand got wild”. Nell’atrio con la volta a padiglione con unghie su tre lati, al centro si trova una decorazione in stucco rappresentante, in una cornice d’alloro, il monogramma del committente. Su questo piano a destra è ubicato un grande salone rettangolare chiamato “sala delle grottesche” per le sue decorazioni. È uno splendido esempio di tardo manierismo piemontese, quando il motivo delle grottesche di ispirazione romana venne largamente impiegato negli apparati decorativi delle residenze nobiliari. Un fregio ornato con motivi decorativi in stucco e con al centro le iniziali di Michele Antonio corre sotto la cornice di imposta della volta a padiglione con unghie. La volta presenta una ricca decorazione a grottesche e una complessa iconografia, il cui programma fu ispirato da Valerio e descritto nel suo Libro delle formali caccie dedicato al Duca di Savoia Carlo Emanuele I nel 1587. Al centro del soffitto è raffigurato il carro infuocato di Elia condotto in cielo. Nelle lunette delle unghie della volta sono rappresentati ideali edifici cinquecenteschi o pittoresche rovine. Nei dodici ovali tra le unghie sono raffigurate altrettante allegorie con relativi motti, una delle testimonianze più significative del gusto per l’emblema tipico del manierismo. Questi ovali rappresentano un vivace documento della cultura dell’epoca, non solo per i manifesti rapporti con l’emblematica, ma anche per le note di costume, per l’ambientazione delle scene, per i quadretti di vita campestre. L’autore di tale grandiosa decorazione è stato identificato in via ipotetica in Giovanni Angelo Dolce e il periodo di esecuzione intorno al 1563.
La sala baronale è a pianta rettangolare con tre grandi finestroni che si aprono a sud verso la pianura. Il pavimento è in cotto, il soffitto a cassettoni dipinto con cartigli che riportano il motto “Leit” avvolti a un ramo di agrifoglio. La parete ovest è occupata da un grande camino sul quale campeggia lo stemma Saluzzo-Manta. Alla destra del camino inizia la serie dei Nove Prodi, che continua sulla parete in cui si apre il piccolo ingresso, seguita dalle Nove Eroine. I personaggi sono rappresentati quasi a grandezza naturale su un prato fiorito, separati gli uni dagli altri da un alberello, ai rami del quale è appeso uno scudo con lo stemma. Eroi ed eroine impugnano un’arma, portano sul capo grandi cappelli o complicate acconciature o corone dorate e sopra l’armatura indossano sontuosi abbigliamenti di broccato e damasco, foderati di ermellino, con il taglio alla moda allora in uso presso la corte di Carlo VI di Valois. Ai loro piedi ci sono cartelle di versi in francese. Alla composizione statica degli eroi e delle eroine si contrappone sulla parete di fronte la movimentata raffigurazione della “Fontana della giovinezza” divisa in tre sequenze: il triste corteo dei vecchi, il bagno nella fontana, il ritorno alla gioventù. Nella parete di fronte al camino in una nicchia è raffigurato un Crocifisso con la Madonna e San Giovanni. Ai lati, San Giovanni e la Vergine esprimono nei gesti e nel volto il loro dolore. Negli sguanci della nicchia sono raffigurati San Quintino e San Giovanni Battista. Committente della grandiosa decorazione della sala fu il signore della Manta, Valerano, nel momento del suo massimo potere, quando divenne reggente del Marchesato. Infatti gli affreschi per il convergere di molti elementi storici, di abbigliamento e di iconografia, devono risalire agli anni 1416- 1420. Il nome dell’autore del ciclo del castello di Manta è ancora oggi molto discusso: si sono citati i pittori Iverny, Jean Bapteur, Aimone Duce, Giacomo Jaquerio, Guglielmetto Fantini, senza giungere ad un’identificazione precisa. Probabilmente anche altri pittori hanno lavorato come aiuti nell’équipe del Maestro della Manta, una figura di primo piano accanto a quella di Jaquerio e di Aimone Duce nel panorama della pittura piemontese del primo Quattrocento. Nel 1984 il castello di Manta è stato donato al Fondo per l’ambiente Italiano (Fai) dalla famiglia Provana De Rege e da allora è diventato oggetto di importanti interventi di restauro, a cui si sono affiancati qualificati studi. Il Castello grazie al Fai è divenuto in questi anni meta di migliaia di turisti e tante sono le interessanti iniziative che vengono proposte.