Nel campo di concentramento la vita si misura in passi da riuscire a fare dopo ore di immobilità per non cadere sotto i bastoni delle guardie. L’esperienza tragica di Stella Silberstein ha la forza visiva ed emotiva di una testimonianza immediata, senza alcun filtro. È un’impronta che si rivela fin dalle prime righe: un numero tatuato sull’avanbraccio e il “triangolo degli ebrei”, dice l’autrice, è ancora oggi il suo “segno particolare”. È diretta nel raccontare la sua esperienza dalla fuga da Vienna fino a Nizza poi l’internamento a Bergen Belsen fino all’aprile 1945 quando gli alleati restituiscono la vita a lei e a centinaia di altre persone stremate.
Un racconto puntuale, quasi una cronaca. La riflessione è rinviata. Verrebbe da dire quasi superflua nella drammatica ovvietà della condanna. L’accenna con discrezione nell’epilogo, quando riesce a mettere un po’ di distanza dagli avvenimenti vissuti, ma il grosso del lavoro di meditazione lo lascia al lettore.
Sono gli anni dell’occupazione nazista poi della follia, descritti con un fraseggiare breve, secco. Pochi aggettivi. Verbi sempre al presente. I ricordi si rincorrono spinti dall’urgenza di tradurli in parole. E sono tanti i ricordi: tutti chiari, tutti concreti, tutti legati a persone incontrate. Quasi si percepisce la necessità di non dimenticare, di consegnare alle pagine scritte l’esperienza dell’orrore per “offrire un servizio all’umanità”. Cosicché in bilico tra il desiderio di cancellare tutto dalla memoria e il senso di responsabilità per tradursi in testimonianza, prevale il secondo e i ricordi si fanno vivi e precisi.
Ricordi di persone e parole, di sguardi a volte persi a volte rabbiosi, di urla e di incomprensibile violenza.
L’universo del lager ha la dimensione di questo sguardo attento e penetrante che non alza mai la voce perché il suo compito è di registrare lasciando parlare ciò che vede, ciò che sperimenta sul proprio corpo. Tante volte sono i corpi a parlare. Nell’immediato non ha alcuna coscienza di voler raccontare dopo. Neppure sa quale sarà il domani. L’imperativo è soltanto sopravvivere. Si vive giorno per giorno, quasi ora per ora, perché anche il tempo ha perso le sue coordinate.
Il narrare la propria esperienza diventa un ricordare per gli altri. La memoria non per se stessa, ma per chi il tempo ha scampato da questa tragedia perché non piombi in un’altra.
Lasciatemi camminare
di Simha Naor
Primalpe
13 euro