Nobil natura è quella [che]
Tutti fra sé confederati estima
Gli uomini, e tutti abbraccia…
Negli alterni perigli e nelle angosce
Della guerra comune.
Con questi versi della Ginestra l’ultimo Leopardi, invitava i suoi contemporanei, italiani in primis, a combattere uniti contro le catastrofi naturali e le altre minacce approntate dalla “natura matrigna”.
Molti opinionisti avevano immaginato o auspicato che di fronte all’emergenza del coronavirus la festa della Liberazione sarebbe finalmente uscita indenne dalle polemiche e avrebbe avuto, sia pure non nelle piazze e nelle sfilate, bensì dalle case, dai telefoni e dalle postazioni informatiche un’adesione diffusa e condivisa.
Non è stato così: una parte del mondo politico ha trovato modo di dissociarsi, con gesti che vanno dall’ostentato non alzarsi in piedi alla Camera alla ridicola festa “alternativa” per il compleanno di un sindaco nella nostra provincia.
La ricorrenza del 25 aprile fu istituita nel ’46 da un decreto di Alcide De Gasperi, a partire da una proposta di Giorgio Amendola.
Fin dall’inizio fu celebrata con la partecipazione unitaria dei partiti in manifestazioni ufficiali e popolari. Nonostante gli aspri scontri sociali e ideologici degli anni ’50 e ’60, quell’unità non venne meno. Gli unici a non condividere il ricordo erano i neofascisti del Msi, una forza politica marginale, nelle nostre zone poi quasi inesistente.
Così per celebrare il ventennale della liberazione, con l’adesione di tutti i comuni, l’Amministrazione provinciale di Cuneo (maggioranza assoluta Dc) costituì un Comitato d’onore che comprendeva il presidente della repubblica Mario Segni, quello del Consiglio dei ministri Giovanni Leone, i presidenti di Camera e Senato, i ministri della Difesa e dell’Interno, una rappresentanza delle due camere che spaziava da Pietro Secchia e Walter Audisio a Vittorio Badini Confalonieri, includeva tutti i parlamentari della provincia, le tre città medaglia d’oro, i senatori Cadorna, Parri, Longo e il gen. Trabucchi.
Accanto agiva un Comitato esecutivo presieduto da un assessore provinciale, Tancredi Dotta Rosso, con un consigliere di minoranza socialista, Alberto Cipellini, fra gli altri membri accanto a un paio di sindaci DC, in rappresentanza di associazioni partigiane o di deportati, entravano due comunisti, un altro socialista, un repubblicano, due liberali ecc.
Il Comitato all’unanimità organizzò 34 eventi dal luglio 1963, per ricordare il discorso di Duccio Galimberti, al 2 maggio 1965, anniversario di un’efferata strage “della ritirata” tedesca a Genola.
Fra gli oratori figurarono i senn. Leone e Terracini, Parri, Antonicelli, Colajanni, l’on. Emilio Lussu, ecc.
E alla fine, perché quelle manifestazioni non rimanessero scritte sulla sabbia, il Comitato pose le basi per la nascita dell’Istituto storico della resistenza provinciale, i cui due primi presidenti furono democristiani (uno peraltro era stato commissario politico in una brigata GL).
Questo spirito unitario non è stato esclusivamente di Cuneo. Certo mi è toccato negli anni dell’università assistere a Torino, e poi anche in provincia, a manifestazioni in cui gruppi extraparlamentari di sinistra cercavano, al grido “la resistenza è rossa”, di cacciare gli esponenti Dc e liberali. In quelle occasioni erano gli oratori o il servizio d’ordine del Pci e dei sindacati a difendere chi era ostracizzato.
L’unità antifascista si è infranta con il tracollo dei partiti della prima “repubblica”. Le nuove forze politiche, sorte dalla bufera di Tangentopoli, erano prive di memoria storica né avevano condiviso il processo costituente dell’immediato dopoguerra. E’ pur vero che nel 1994 Umberto Bossi partecipò alla manifestazione milanese del 25 aprile, svoltasi in forte polemica con il governo di Silvio Berlusconi che aveva portato a responsabilità di primo piano esponenti del Msi-Alleanza nazionale.
L’anno dopo a Fiuggi Gianfranco Fini, consapevole dell’insostenibilità delle vecchie nostalgie, rompeva con il modello fascista, pur perdendo un pezzo di partito.
Di quell’autocritica, sminuita anche dalle disavventure immobiliari dell’ex presidente della Camera, in Fratelli d’Italia, erede di An dopo la parentesi del Popolo delle libertà, è rimasto poco. In Forza Italia l’interesse per le questioni ideali è sempre stato molto basso.
Dell’animus antifascista di Umberto Bossi quanto resta nella Lega di Salvini?
Non si può certo non accogliere l’auspicio perché per il prossimo 25 aprile si affermi una condivisione del ricordo e dei valori di fondo: ma credo che questi debbano essere più vicini a quelli dell’antifascismo che al suo contrario. E’ perché ha vinto l’antifascismo che anche chi lo rifiuta può godere della libertà di parola e di organizzazione.
Livio Berardo, ex presidente dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo