Con la conclusione dell’istruttoria è arrivata la richiesta di condanna per M. M., responsabile del Centro di accoglienza straordinaria di Racconigi fra il 2016 e il 2019, accusato di aver sfruttato lo stato di bisogno dei richiedenti asilo obbligandoli a lavorare presso una determinata azienda agricola della zona che contabilizzava in busta paga solo una parte delle ore effettivamente lavorate, pagando il resto in nero e risparmiando in questo modo sui contributi. Al responsabile del centro è anche contestato di aver fatto pagare 5 euro al giorno per il trasporto sul luogo di lavoro trattenendo quei soldi per sé. Il fatto era emerso in seguito alle manifestazioni che gli ospiti del centro avevano messo in atto a fine 2020, quando l’imputato già lavorava presso un’altra struttura, per protestare contro le condizioni di vita al centro di accoglienza. Dai racconti fatti agli inquirenti emerse la difformità fra le ore di lavoro dichiarate in busta paga e quelle effettivamente lavorate e il fatto che parte dello stipendio venisse pagato in nero; rinviato a giudizio insieme all’attuale imputato, il proprietario dell’azienda agricola aveva scelto di patteggiare previo pagamento della quota di contributi evasa. Il pubblico ministero ha chiesto la condanna di M. M. a un anno, cinque mesi e 10 giorni con 10.000 euro di multa, ritenendolo responsabile di aver approfittato dello stato di bisogno degli ospiti del centro obbligandoli a lavorare per una determinata azienda agricola e di aver contribuito a frodare lo Stato poiché era consapevole che denunciando meno soldi di quanti effettivamente guadagnati, i ragazzi potevano continuare a godere del loro status di richiedenti asilo per motivi umanitari e a vivere all’interno del Centro di Racconigi. Per l’avvocato Luisella Cavallo invece l’istruttoria aveva dimostrato, stando alle testimonianze degli stessi ospiti della struttura, che nessuno di loro si trovava in uno stato di bisogno tale da renderli contrattualmente deboli e sfruttabili, poiché il loro status di richiedenti asilo li affrancava da questo pericolo: “I richiedenti asilo non sono mai clandestini perché ricevono subito un permesso di soggiorno che per essere rilasciato non richiede alcun contratto di lavoro. Gli ospiti del Centro volevano lavorare per mandare i soldi alle famiglie nei Paesi di origine, non perché ne avessero bisogno per ottenere il permesso di soggiorno e mantenersi in Italia”. Quindi come da loro stessi dichiarato non erano ricattabili e chiedevano di lavorare per guadagnare soldi da mandare alle famiglie. Anche sul pagamento dei 5 euro per il trasporto al luogo di lavoro con il pulmino del Centro la difesa ha contestato l’accusa, sostenendo che la decisione era stata presa per ovviare a un’oggettiva difficoltà nel raggiungere le aziende agricole con i mezzi pubblici e i 5 euro servivano a pagare la benzina e la manutenzione del veicolo; una scelta che, stando alle testimonianze, era stata presa in accordo con tutti i ragazzi che lavoravano, anche sull’onda emotiva dello shock provocato dalla notizia dell’investimento di un lavoratore che si spostava in bicicletta per andare a lavorare. Dato però che nel capitolato non era previsto l’uso del pulmino per questo scopo, i soldi venivano pagati in contanti e non contabilizzati e per questo si decise in seguito che fossero i datori di lavoro a fornire i smezzo di trasporto. Concluse le arringhe di accusa e difesa, l’udienza è stata rinviata al 28 marzo per le repliche e la sentenza.