A fine 2023 nelle carceri italiane erano presenti 60.166 detenuti, a fronte di una capienza legale di 51.179, due terzi dei quali per reati legati all’immigrazione clandestina, alle tossicodipendenze e alla salute mentale.
Degli oltre 60.000 detenuti, 9.259 sono in attesa di primo giudizio e 6.385 destinatari di condanne non definitive. Nel 2022 ci sono stati 85 suicidi tra i detenuti, il dato più alto degli ultimi 10 anni, 70 nel 2023, mentre nel 2024 sono già 72, in meno di 9 mesi. Anche tra la Polizia penitenziaria il numero dei suicidi è inquietante: a settembre di quest’anno erano già 8. In carcere il tasso dei suicidi è di almeno 18 volte superiore rispetto alla società esterna.
Nelle carceri italiane il 10% per cento dei detenuti ha problemi psichiatrici gravi e circa uno su tre fa uso di antipsicotici o antidepressivi. In alcuni istituti le celle non garantiscono i 3 metri quadri calpestabili per persona e sono in stato fatiscente. Molte carceri sono state costruite prima del 1950, la maggior parte addirittura prima del 1900 e molte celle sono ancora prive di riscaldamento, acqua calda e doccia.
Sovraffollamento e degrado, che hanno portato a numerose condanne da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e richiami della Corte Costituzionale, non sono però l’unico problema del sistema penitenziario italiano. I dati dicono infatti che il 68,7% dei detenuti, vale a dire 2 su 3, una volta scontata la pena torna a delinquere. Dati che cambiano drasticamente se si considerano invece i detenuti che hanno svolto percorsi di formazione o di lavoro in carcere: il tasso di recidiva scende al 2%; Il Ministero della difesa e il CNEL hanno recentemente sottoscritto un accordo di programma che ha come obiettivo di ridurre drasticamente il tasso di recidiva sviluppando all’interno degli istituti penitenziari, programmi per l’inserimento nel mondo del lavoro dei carcerati. Sono sempre maggiori le proteste che coinvolgono i detenuti e le aggressioni alla polizia penitenziaria. Anche il carcere di Cuneo non è estraneo a queste dinamiche, con un reale problema di sovraffollamento e frequenti tensioni tra i detenuti. Da dicembre 2023 ad oggi si sono registrate, anche nella struttura di Cerialdo aggressioni nei confronti degli agenti: l’ultima a settembre, quando alcuni detenuti hanno ferito altri compagni e due agenti con olio bollente.
Vittime di questo sistema perverso sono infatti da una parte i detenuti e dall’altra gli agenti di polizia penitenziaria, che condividono condizioni al limite del sopportabile. Il personale di Polizia Penitenziaria è sempre men numeroso e allo stremo: lavorando più di 10 o 12 ore al giorno, non riesce più a garantire i livelli minimi di sicurezza.
Secondo i dati del Ministero, aggiornati ad aprile di quest’anno, manca il 16% delle unità previste in pianta organica e sembra che l’annunciato decreto ‘Carcere sicuro’ non sarà sufficiente a mitigare una situazione così grave. Criticato da sindacati, avvocati, magistrati e addetti lavori, pare che l’assunzione, prevista nel decreto, di 1.000 agenti in più, non basterà nemmeno a coprire il tunover dei pensionati.
Una situazione da anni non governata e che sta portando il sistema al collasso. Anche per questo molte associazioni e enti si stanno mobilitando per tenere accesi i riflettori, che rischiano di spegnersi tra un fatto di cronaca e l’altro, e chiedere interventi concreti.
Il mese scorso se ne è ampiamente discusso anche in Consiglio comunale a Cuneo, per poi arrivare all’approvazione all’unanimità di un ordine del giorno che esprime la preoccupazione della città sulla situazione delle carceri italiane. A proporre l’ordine del giorno i gruppi consiliari di PD, Cuneo Solidale, misto di maggioranza e Cuneo Civica (ex Crescere Insieme). Nel testo si chiede a sindaca e Giunta di trasmetterlo alla presidente del Consiglio, al ministro di Grazia e Giustizia e a tutto governo e Parlamento, perché prendano coscienza della situazione di bisogno in cui versano oggi le carceri italiane, migliorando il Decreto “Carcere sicuro” con ulteriori misure, alcune delle quali già sollecitate da Magistratura, avvocati, sindacati e associazioni, per ridurre il sovraffollamento, migliorare le condizioni di vita all’interno delle strutture e ridurre la recidiva. Per fare qualche esempio: stanziare risorse a favore delle strutture dedicate all’esecuzione di pene alternative alla detenzione, con percorsi di educazione e graduali inserimenti lavorativi, e per la cura e la rieducazione di detenuti tossicodipendenti e psichiatrici. Ancora: concedere ai detenuti immigrati la possibilità, se lo richiedono, di essere estradati e giudicati nel loro Paese di origine, incrementare l’utilizzo di strumenti alternativi come gli arresti domiciliari, creare opportunità di lavoro all’interno delle strutture carcerarie per tutti i detenuti, favorendo il reinserimento nella società ed evitando la recidiva, aumentare la presenza di psicologi, psichiatri, educatori, mediatori culturali e figure sanitarie. E infine, aumentare il numero di agenti di polizia penitenziaria, arrivando al numero che dovrebbe essere garantito per legge, con una formazione adeguata e responsabile, senza istituire ‘squadrette punitive’ per sedare le rivolte: Da ultimo, interventi di edilizia e messa a norma delle strutture, obsolete e fatiscenti.