Un itinerario agevole che mescola natura, storia, cultura e leggenda. Cinzia Racca e Michelino Giordano aiutano a scoprire una zona in cui questi “ingredienti” sono presenti. “Percorrendo la strada ai piedi della collina del “Castel du Dusu”, che passa nel “valon ‘d y Armariet” e sale per via Pasturone – spiegano i due “custodi” della storia di Fontanelle – ci si avvicina, mantenendo la destra, alla collina “Renostia”, luogo che segna anche i confini con Robilante e Roccavione. Qui si possono costeggiare vecchi tetti in parte ancora abitati, dove una volta esistevano osterie a servizio di antiche mulattiere come la Muntò ‘d l’azu. Inoltrandoci tra pini, larici ed abeti rossi, circondati da alti castagni tra il fitto di un bosco di conifere, si trova il “Gia du lù”, lettiera del lupo, perché nell’800 vi dimorava uno degli ultimi lupi della zona”.
Proseguendo la passeggiata ci si imbatte in una ordinata segheria e, leggermente discostata dal sentiero, la Fontana “du ruisu” in ricordo del bandito Violino che visse a Fontanelle a fine ‘700. Si narra che una volta tentarono di avvelenarlo ma si salvò bevendo solo l’acqua di questa sorgente. Nel libro “Gli spiriti caldi di fine settecento nel Cuneese”, il Prof. Guido Olivero racconta che Violino “fu a capo di una banda di malviventi che seminò tanta paura tra i repubblicani delle zone vicino a Boves. Anche lui come altri briganti, i cosiddetti “barbet”, era dalla parte di contadini. Coraggioso e militarmente preparato tenne testa a gendarmi e milizie locali innumerevoli volte. Dopo tante battaglie per la causa “pubblica ed animato dal bene per la Patria” accolse ai primi dell’Ottocento l’invito di consegnarsi ai francesi che gli avevano promesso salva la vita. Invece questi gli tesero un’imboscata: giunto con i suoi la mattina stabilita presso l’antica salita della Stura a Cuneo, verso Madonna dell’Olmo, fu ucciso a tradimento con alcuni colpi alla schiena da certi agenti e militi appiattati colà a tale scopo. Brutta fine come tante altre storie di briganti che in quegli anni imperversavano nelle terre cuneesi”. Inoltrandosi in direzione ovest si raggiunge il Pilone della Battaglia che evoca lo scontro fra l’esercito di Carlo d’Angiò e le truppe del marchese di Saluzzo e Ceva (novembre 1275). Dirigendosi verso Bèc Berciasa si può beneficiare della vista su Fontanelle e Cuneo. “A destra – spiegano Racca e Giordano – troviamo il dirupo “Roca Cruvela” (dal nome dialettale del gheppio) e a sinistra il Garb ‘d la Rana Giana (Regina Giovanna d’Angiò)”.
Sulla Regina sono tante le leggende. La più conosciuta è senza dubbio quella secondo la quale, la stessa avesse al posto dei piedi, delle zampe di gallina. Originaria di Napoli, attraversò le nostre zone con l’obiettivo di incontrare Papa Clemente VI ad Avignone. Il libro di don Alfonso Maria Riberi “San Dalmazzo di Pedona e la sua abazia” aiuta a far luce sul mistero del “Garb”. Al cospetto del monastero di San Dalmazzo, vedendolo non grande, con una piccola torre e la chiesa stretta, pare che la Regina disse fra sé “cos’è questa abazia rispetto alle grandi che abbiamo visto nel regno di Francia e di Napoli e di Sicilia? E chi è questo santo piccolo rispetto ai martiri e vescovi e confessori che ho venerato altrove?” Poi volendo la regina entrare nella detta chiesa, le apparve il beato Dalmazzo in compagnia di santi e sante di Dio, il quale, stendendo il braccio, respinse la regina, che non entrasse nella porta”. La Regina pianse amaramente chiedendo all’abate cosa fare per ottenere il perdono. Questi la invitò a interpellare per tre volte il Libro dei Re. “L’abate – si legge nell’opera del Riberi – benedisse il libro e lo aperse e la sorte cadde sul verso “non mangerai pane e non berrai acqua in questo luogo. Poi…trovò il verso “ed essendo venuto colà rimase in una spelonca”. Poi benedisse una terza volta …ed ecco il verso “forse che Saul è tra i profeti?””. “Così – spiegano Giordano e Racca – la Regina poté comprendere quel che le chiedeva San Dalmazzo: ritirarsi in penitenza in qualche spelonca non molto lontana (ecco il Garb) digiunando per sette giorni per poi aggregarsi a qualche religione senza comunque trascurare la cura del regno e la compagnia del Re. Così fece la Regina e si ritirò sul monte Reynostia (porta della regina). Al termine del settimo giorno raggiunse Cuneo (San Francesco) dove frate Martino la aggregò al terz’ordine. Tornata in San Dalmazzo pregò intensamente”.