Saluzzo – Era stato accusato di resistenza e minacce a pubblico ufficiale ma le immagini delle telecamere situate nel corridoio del carcere di Saluzzo avevano scagionato B. S. dall’accusa mossagli dagli agenti di Polizia penitenziaria, i quali si sono poi ritrovati accusati di calunnia dall’ex detenuto. I fatti risalgono all’8 novembre 2018, dopo che scattò l’allarme nella sezione dove era detenuto B. S.; gli agenti erano accorsi in forze e per prima cosa avevano cercato di riportare tutti i detenuti all’interno delle proprie celle. B. S., estraneo ai disordini che erano scoppiati poco lontano da lui, era fermo davanti alla propria cella e gesticolava. Nella concitazione del momento, nel tentativo di farlo rientrare e chiudere il blindo, il braccio dell’uomo rimase incastrato e rimase ferito; la porta venne riaperta, un agente entrò e uscì con in mano una lama realizzata con la lamiera di una lattina, un oggetto proibito ma che quasi tutti i detenuti costruiscono e usano come coltello. Le telecamere non ripresero tentativi di aggressione da parte del detenuto o minacce rivolte agli agenti con in mano la lametta, eppure queste notazioni finirono nella relazione scritta alcuni giorni dopo da due degli agenti che erano intervenuti sul posto. B. S. venne quindi rinviato a giudizio per resistenza a pubblico ufficiale ma le immagini delle telecamere lo scagionarono dall’accusa e l’uomo, una volta assolto, denunciò per calunnia i due agenti che avevano firmato quella relazione. Uno dei due chiese il rito abbreviato e venne prosciolto dal Gup, l’altro scelse il rito ordinario per dimostrare che in quella situazione di confusione generale e di gesti concitati, aveva scritto quello che gli era stato riferito dall’agente entrato nella cella: “B.S. si era innervosito perché lo avevamo chiuso in cella, ma era un problema di sicurezza. Continuava a gesticolare e temendo che potesse lanciare qualche oggetto abbiamo chiuso il blindo. Quando lo abbiamo riaperto ho visto il mio collega fare un gesto veloce per afferrare qualcosa. Mi disse poi che era una lama. Non era mia intenzione colpevolizzarlo per qualcosa che non aveva fatto ma ho cercato solo di esporre i fatti”. Di gran confusione ha parlato anche il pubblico ministero Raffaele Delpui che ha definito la situazione concitata: “Le immagini non chiariscono la dinamica e le frasi intimidatorie rivolte agli agenti parrebbero giustificare la percezione della presenza della lametta”. Per questo motivo ha chiesto l’assoluzione dell’agente. Una ricostruzione condivisa dalla difesa e contestata invece dalla parte civile che ha ribadito la chiarezza delle immagini nell’escludere un atteggiamento minaccioso e intimidatorio da parte del detenuto, il quale in seguito a quell’episodio finì in isolamento per tre giorni e perse per qualche tempo la possibilità di svolgere attività ricreative. La giudice ha però accolto la ricostruzione di accusa e difesa assolvendo l’agente per insussistenza del fatto.