Cuneo – Si sente sempre più spesso parlare, soprattutto da fine dicembre 2021 con i primi casi scoperti tra Piemonte e Liguria, di “Psa”, cioè peste suina africana. Si tratta di una malattia animale non trasmettibile all’uomo, di origine virale, che colpisce “suidi” (in particolare maiali e cinghiali) con una diffusione molto aggressiva e con esiti spesso mortali.
Il primo scoppio di un’epidemia da Psa fu registrata in Kenya nel 1907, e proprio dal “continente nero” prese il suo nome.
La malattia rimase confinata all’Africa subsahariana fino al 1957, quando fu segnalata per la prima volta in Portogallo; si radicò nella penisola iberica e scoppi sporadici si verificarono in Francia, Belgio e altri Paesi europei durante gli anni Ottanta.
La presenza della Psa in Europa è in rapida evoluzione dopo che, nel 2007, si sono sviluppati focolai infettivi in Georgia, Armenia, Azerbaigian, Russia europea, Ucraina e Bielorussia. E, più recentemente, anche in Germania.
La Psa si diffonde attraverso il contatto con animali che l’hanno contratta per ingestione o con punture di zecche, oppure ancora tramite attrezzature contaminate (ad esempio, camion e mezzi con cui vengono trasportati gli animali).
Lo sviluppo della malattia, in particolare nelle prime fasi, risulta positivamente correlato con la densità e la dimensione delle popolazioni di cinghiali; in altre parole, la proliferazione dei cinghiali sul territorio costituisce uno dei principali veicoli di diffusione della peste suina africana.
Questa malattia animale, molto contagiosa, è caratterizzata da febbre alta, perdita di appetito, emorragie cutanee e degli organi interni dal decorso frequentemente letale in tempi brevi (da due a dieci giorni dall’infezione).
Non esistono né vaccini né cure, pertanto la peste suina africana rappresenta una gravissima minaccia per la suinicoltura e impone l’adozione di tutte le misure utili per prevenirne la diffusione, soprattutto in una provincia suinicola come la Granda.