Perché guardare alle popolazioni arabe e ai loro movimenti nel bacino del Mediterraneo, ma non solo, in un periodo come il Basso Medioevo? L’incontro di due culture, musulmana ed europea, allora ha determinato trasformazioni in campo agricolo le cui conseguenze si fanno sentire ancora oggi, in un momento in cui questo stesso incontro è minacciato da pregiudizi: “Quello che si muoveva nello spazio dell’Islam non erano solo eserciti, ma idee e merci”.
Il saggio dello storico canadese torna così a sottolineare la ricchezza culturale e tecnica del mondo arabo in secoli in cui l’Europa viveva una profonda crisi politica e cercava di ricostruire il proprio bagaglio di conoscenze. Di lì a poco rifiorirà il sapere, anche grazie agli apporti che venivano da quel mondo guardato con sospetto dai politici, molto meno dai commercianti.
La prospettiva agricola segna il breve saggio che sottolinea il ruolo giocato dagli Arabi nell’introduzione e diffusione di un numero sorprendente di varietà botaniche commestibili. Melanzane, spinaci, riso, sorgo, canna da zucchero, carciofi, poi agrumi, carrubi, sono impiantati nell’Europa mediterranea. Alcune specie erano già conosciute dai Romani, ma gli Arabi seppero introdurre varietà più resistenti al clima e con maggiori possibilità di conservazione. Il mondo islamico infatti sviluppò un’agricoltura basata sul corretto utilizzo dell’acqua, sul ricorso alla concimazione adeguata, sulla conoscenza dell’ambiente al fine di ottenere i migliori risultati.
Non ultimo seppe sviluppare un percorso di acclimatazione delle piante che portò nei secoli a rivoluzionare l’economia agricola di intere zone, non solo costiere. Una trasformazione che incide presto anche sui lavori nei campi. Molte varietà arrivano da paesi più caldi. Contribuiscono quindi a fare dell’estate la stagione privilegiata per la coltivazione con i problemi irrigui conseguenti affrontati con opere di canalizzazione già sperimentate negli aridi territori della penisola araba. Alla lunga queste trasformano, incidono anche sull’assetto sociale, attirano l’interesse di “imprenditori” europei che nei secoli non sempre seppero conservare queste innovazioni alla ricerca invece di profitti immediati, con la concentrazione delle proprietà nei latifondi e la tendenza marcata all’agricoltura intensiva monocolturale.
Il saggio di Watson, pur scritto nel 1974, in una prospettiva storica apre dunque una finestra sui nostri decenni. Sostiene ipotesi anche “scandalose” sul piano culturale come quella relativa all’introduzione del grano duro: il fumante piatto di spaghetti avrebbe dunque una sua lontana ascendenza araba! Soprattutto, però, mentre sottolinea questi apporti in arrivo dall’altra parte del Mediterraneo, letto oggi ribadisce l’idea di un mondo aperto agli influssi di ogni provenienza, di un mare incrocio di culture, di un’agricoltura che sfugge alla globalizzazione e si prende cura delle differenti varietà.