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Lunedì 2 giugno 2025

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Non allontanarsi da Gerusalemme

Nell’Ascensione del Signore la vita dell’uomo è ospitata là dove d’essere ospitata, cioè nel grembo di Dio

Cuneo

La Guida - Non allontanarsi da Gerusalemme

Nicola De Maria, Ascensione (Evangelario ambrosiano).

At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53

«Mentre si trovava a tavola, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme ma di attendere… “Riceverete forza quando lo Spirito Santo scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme fino all’estremo limite della terra”» (At 1, 1-11). Il Risorto non li manda allo sbaraglio solo perché sono i suoi discepoli e quindi devono obbedire. Continua ad avere tenerezza per loro, ancora di più ora che sale al cielo e scompare. Tenerezza, ora come prima, che nasce da Colui la cui vita è stata una vita reale, con la sua durezza che il Figlio ha attraversato. Trent’anni a fare tutto quello che facevano gli altri. Il lavoro dell’incarnazione di Dio non è stato un passaggio rapido e disinvolto sul palcoscenico. E poi tre anni, intensi, durissimi dove c’è stato un momento in cui quella vita sembrava anche spesa senza risultati. Il Risorto lo dice ai suoi che il Messia “doveva” essere trafitto su quel legno duro.
Una vita di Dio così reale che nemmeno la potevi sognare. Una vita normale, che di normale non ha nulla. Una vita che continua, raccogliendo quello che ha seminato nei cuori, nel mondo e nell’intera creazione.
L’Ascensione sigilla questo legame tra la vita di Dio e la vita dell’uomo.
Ora nel grembo di Dio, nei cieli, c’è anche la nostra vita sulla terra. Gesù è il primogenito di molti fratelli e sorelle.
Tutto ciò che sulla terra ci fa vivere, i legami e gli affetti che ci tengono in vita, non sono destinati a finire in niente. Le cose forti, profonde, della vita reale, quelle che devono andare in cielo – quelle con cui Gesù va in cielo – ci vanno e ci rimangono.
Tra le cose che i discepoli sono chiamati a testimoniare e portare ovunque e a tutti, fino agli estremi confini della terra, c’è innanzitutto il dire che «degno di fede è colui che ha promesso» (Eb 10,23).
L’invito del Risorto rivolto ai discepoli di «non allontanarsi da Gerusalemme» può essere letto come un ritornare continuamente a quel luogo dove si è compiuta la rivelazione che degni di fede sono il Figlio e il Padre. Lo Spirito è dato per ricordare e comprendere sempre meglio ciò che avvenne a Gerusalemme nella passione, morte e risurrezione di Gesù.
Secondo: che i buoni legami che tengono in vita la vita dell’uomo, ciò di cui gli umani sperano e disperano, le energie migliori spese perché l’altro viva, sono portati in cielo dal Figlio che ha imparato il duro mestiere di vivere.
Nell’Ascensione la vita dell’uomo è ospitata là dove d’essere ospitata, cioè nel grembo di Dio.
Si può allora tornare a Gerusalemme con più serenità. Il distacco di Gesù dai suoi, e dunque la fine di una storia, non è una fine come quella che i discepoli già avevano vissuto e che aveva lasciato in loro un sentimento di tristezza e di tragica incompiutezza; non è una fine come lo era stata la morte di Gesù. O meglio: ora soltanto quella fine si rivela nel suo significato vero e consolante: una fine che non cancella il passato, ma che conduce a compimento e a definitiva permanenza tutto ciò che è stato.
L’andarsene del Maestro è un venire («vado e tornerò da voi» Gv 14,28), una rispettosa modalità di vicinanza. Andandosene e rimanendo nello stesso tempo, aiuta i discepoli a dissolvere la tensione fra presenza e assenza in cui si dibatte. L’Ascensione è un distacco che si apre su una nuova comunione tra il Risorto e i suoi nella storia. La presenza sottratta diventa presenza donata attraverso la responsabilità del credente a dare testimonianza.

 

Immagine: Nicola De Maria, Ascensione (Evangelario ambrosiano).

L’autore rende simbolicamente l’idea di ascesa attraverso la presenza di un esile fiore blu, che sembra innalzarsi verso l’alto, dove, sulla sinistra, un cerchio colorato circondato di rosso costituisce un punto di orientamento, un principio di tensione e di attrazione di tutta la composizione. Il colore dello sfondo dell’opera è bianco. Il esso si concretizza il dono messianico per eccellenza: la pace, la quiete, il riposo, come se ci trovassimo in uno spazio trascendente, assoluto, eterno. È il dono che Gesù lascia all’uomo perché accolga l’amore del Padre. Nel cuore dell’uomo può così nascere la gioia e il desiderio di raggiungere con Cristo il Padre, l’origine stessa della vita.

Non allontanarsi da Gerusalemme

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