La comunità peveragnese, dai ragazzi delle scuole al mondo delle associazioni, passando attraverso i parenti delle vittime, ha preso parte domenica 12 gennaio alla commemorazione dell’Eccidio dei XXX Martiri, avvenuto il 10 gennaio 1944 per mano dei nazi–fascisti.
Presenti i rappresentanti dei Comuni vicini, il presidente della Provincia di Cuneo Luca Robaldo, il presidente dell’Unione Alpi del Mare Claudio Baudino e le delegazioni delle associazioni combattentistiche e delle istituzioni locali.
“Sono passati 81 anni dall’eccidio di piazza Paschetta – ha spiegato il sindaco Paolo Renaudi nel corso del proprio intervento – e in primavera ricorderemo gli 80 anni della fine del secondo conflitto mondiale. Conflitto in cui l’uomo ha dato il peggio di sé, in cui è stato capace di lanciare due bombe atomiche.
Tutti gli anni qui abbiamo una generazione nuova di ragazzi a cui parlare di quanto successo, con cui confrontarci, con cui ricordare e ragionare, nell’importanza di commemorare e tramandare. Per evitare di scivolare in altri periodi bui, siamo chiamati a dare il nostro piccolo contributo, lavorando in questo senso tutti i giorni”.
Non è mancato il ricordo di due donne peveragnesi. La prima che perdendo il marito sposato appena dieci giorni prima, ha rifiutato di vendicarsi nei confronti di quella che era stata indicata come la spia, e quindi la causa della strage.
La seconda, che mostrò pietà nei confronti di un soldato tedesco che stava male, curandolo e assistendolo e comprendendo che spesso tra le fila del nemico c’erano persone buone, obbligate a fare quanto avrebbero volentieri evitato.
“Dobbiamo avere il coraggio di dialogare – ha aggiunto Renaudi – di vedere chi ci sta davanti come portatore di idee e di posizioni diverse, senza arrivare alla prevaricazione e alla violenza.
Vediamo nel quotidiano quanto poco siamo tolleranti e dialoganti a tutti i livelli, anche nei nostri consigli comunali. Se tutti i giorni lavoriamo per smorzare, per dialogare, per cercare di comprendere le ragioni altrui, qualcosa di buono avremmo fatto. Lo dobbiamo ai nostri ragazzi, affinché un giorno possano dire “siamo riusciti a conservare la nostra umanità””.