Altro che spazio anonimo che ospita un formicolare di gente indaffarata a guardare tabelloni di partenze e arrivi, tener d’occhio le uscite, accaparrarsi un sedile dove lasciare il proprio corpo tra noia dell’attesa e sogni del viaggio imminente. Sono sufficienti le prime due pagine dell’agile libretto di Luciano Bolzoni per sfatare questa immagine.
Il supposto anonimato consegna l’aeroporto alla categoria del “non luogo”, sospeso in un nulla indefinito quasi metafora di una vita senza scopo. L’autore, la cui occupazione in aeroporto è gestire eventi artistici, la pensa diversamente: “è un luogo che contiene così tanta geografia e umanità che non possiamo farne a meno”. È spazio architettonico funzionale a spostamenti, condensato di alta tecnologia, ma anche contenitore di un brulicare di attività, di relazioni. È su questo che il libro mette porta l’attenzione.
L’autore prende per mano il lettore e gli apre gli occhi su questa vitalità inimmaginabile. Dietro le quinte c’è una macchina organizzativa che, fino al più banale intervento come la falciatura dell’erbe a bordo pista, non può permettersi errori. Non si tratta però di un viaggio di carattere tecnico. Anzi l’atmosfera che si coglie nella lettura è spesso sostenuta da aperture filosofiche alla ricerca sempre dell’elemento umano dietro la tecnologia.
È un piccolo saggio, molto personale, che potrebbe benissimo stare nella valigia del prossimo imbarco, magari si potrebbe guardare all’aeroporto con occhi diversi, non come luogo di passaggio, ma come “città” animata da vita instancabile.
La vita degli aeroporti
Lorenzo Bolzoni
Ediciclo
9,50 euro