Poco sopra la Villa di Verzuolo, nome che identifica la borgata più antica del paese, sorge l’antico castello: si tratta di un edificio imponente e ricco di storia, che tuttavia soltanto da un paio d’anni a questa parte ha iniziato a mostrarsi al mondo dopo oltre un ventennio di chiusura e abbandono. Non avendo a disposizione il suo archivio, ben pochi conoscevano la storia della fortezza, e soltanto le tesi di laurea dei verzuolesi Alex Barbero, Gerardo Bonito e Fabio Calosso – insieme a un cambiamento nella titolarità privata dell’immobile – hanno permesso di riaccendere l’interesse della comunità e organizzare un ciclo di aperture al pubblico. La prima testimonianza a parlare di un castello fortificato sulla cima della collina è un contratto del 1087: non si tratta, tuttavia, dell’attuale fabbricato, bensì di una precedente costruzione difensiva in pietra e mattone. In età medievale, la struttura è uno dei quattro principali bastioni difensivi del marchesato di Saluzzo, insieme alla Castiglia, al castello della Manta e a quello – ora distrutto – di Revello. Gravemente danneggiato da più assedi nel corso di varie contese dinastiche, il vecchio castello di Verzuolo lascia il posto a quello attuale nel 1377, quando il marchese Federico II di Saluzzo decide di riedificare completamente il fabbricato. Non viene realizzato alcun fossato, ritenendo che un’elevata pendenza del suolo e tre cinte murarie fossero più che sufficienti per scoraggiare eventuali assalitori. La strategia si rivela corretta: da quel momento in avanti, nelle fonti non c’è più alcuna notizia di assedi nel verzuolese. Nel 1477 l’opera viene ulteriormente ampliata dai marchesi Ludovico I e Ludovico II di Saluzzo, che aggiungono tra l’altro una copertura in legno e due torrette di avvistamento. Un secolo dopo, il castello cambia ancora volto: in tutta Europa sono arrivati i mortai e la polvere da sparo, e la fortezza voluta da Federico II non è più adeguata a difendere il territorio.
Il conte Michele Antonio di Saluzzo e della Manta decide allora di trasformare la vecchia fortezza medievale in una residenza signorile: gli interni diventano ricchi e sfarzosi, mentre sulla facciata rivolta verso sud vengono innalzate due torri ornamentali a base quadrata, alte oltre 30 metri. Viene anche eretta la torre di Valfrigida, l’unica sopravvissuta fino ad oggi. All’esterno fioriscono due livelli di giardini, con fontane, aiuole verdeggianti e alberi di aranci, in linea con le mode del Rinascimento: a causa di un prolungato periodo di abbandono, purtroppo di quell’area non si è conservato quasi nulla. Un secondo intervento viene condotto nel Seicento, per volontà di Silvestro della Manta, abate di Altacomba ed ambasciatore ordinario del duca di Savoia in Francia e a Venezia: contro il consiglio degli architetti vengono eliminate alcune strutture portanti, con conseguenze disastrose alcuni secoli dopo. Nell’Ottocento l’edificio conosce il suo massimo splendore, e viene descritto dalle fonti locali come uno dei più pregevoli castelli nobiliari del Piemonte. Il Novecento, invece, è un periodo di forte declino: le disponibilità economiche dei conti vengono meno, e la residenza inizia a deteriorarsi rapidamente. Nel giugno 1916, dopo una settimana di forti piogge ininterrotte, i giornali locali riferiscono che nel cuore della notte si sente un boato provenire dalla collina: il castello era stato costruito su terreno sistoso attraversato un sottile strato d’argilla e l’infiltrazione ha appena causato il cedimento di una parte di una torre. Viene eretto un muro a protezione dell’abitato e della vecchia chiesa parrocchiale, e nei mesi successivi si quantificano le spese per mettere in sicurezza il fabbricato: per un adeguato intervento di sottomurazione occorrono 100.000 lire. Il conte Ademaro Barbiellini Amidei non possiede questa somma, e il Ministero non può intervenire perché tutte le risorse del Regno d’Italia sono destinate alla Grande Guerra: nel 1917 il torrione crolla definitivamente, e nel 1938 per ragioni di sicurezza la Soprintendenza alle belle arti decide di abbattere l’intera ala sud, inclusa anche la torre gemella del Belvedere. Inizia così una lunga fase di abbandono, conclusa solo dalle ricerche storiche degli ultimi anni e dalle recenti riaperture: ora la sfida consisterà nel restaurare quel che resta dell’edificio con fondi europei e nel donare nuova vita a quest’importante testimonianza storica e artistica locale.