Non c’è posto, non c’è tempo.
Sono i giorni del censimento e Betlemme è “sold out”.
Ma al di là dell’accoglienza acquistabile col denaro, a mancare è l’altra accoglienza, quella umana di chi apre casa, cuore, braccia e dice “il tempo lo trovo e lo spazio lo inventiamo”.
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Ma se c’è da faticare, riorganizzare le priorità, mettere a rischio la propria area di comfort … meglio supporre che ci penserà qualcun altro. Mica devo salvarlo io il mondo!
Gesù entra in scena in questo modo, sperimentando già a livello intrauterino il rifiuto reiterato, assaporando anzitempo l’umanità nella sua versione inospitale, non empatica, ordinariamente cinica. Ma per Maria è arrivato il tempo del parto e serve un luogo protetto: ai margini della città, in un rifugio per animali. Ed ecco che quando la coperta è troppo corta, è anche dato sperimentare, come manifestazione dell’inatteso, l’umanità in un’altra versione: protettiva, presente, capace di donare a chi già si sa che non potrà restituire quanto ha ricevuto con qualcosa in contraccambio.
C’è un neonato in una stalla. C’è la luce dell’angelo che avvolge e guida i pastori.
E c’è la luce della stella. E poi oro, incenso e mirra.
C’è ora – anche se per poco, perché toccherà fuggire di nuovo, avvertiti dall’angelo, lontano da Erode e dalla sua ossessione per potere e controllo – la luce dell’umanità risvegliata che porta tutto ciò che ha di più prezioso: affettivamente se stessa.[/contenuto_in_abbonamento]