Il premio Nobel alla letteratura è andato alla coreana Han Kang, ed è il primo premio Nobel coreano. E a leggere “Non dico addio” la sua quinta opera pubblicata in Italia se ne capisce il perché.
La neve e il sogno sono i due leit motiv del libro che attraverso il romanzo racconta una pagina buia della storia, non solo coreana, dove la frontiera tra sogno e realtà, tra visibile e invisibile sfuma fin quasi a svanire su cosa è capace l’uomo. Si parla delle stragi di civili dell’isola di Jeju e della miniera di Gyeongsan, avvenute tra il 1948 e il 1950 ai danni di oltre trentamila comunisti morti per mano della Gioventù del Nord-Ovest con l’appoggio del governo americano. La violenza di stato è il sottofondo ma in realtà è una storia di devozione tra due donne sole di mezza età, dopo vite di famiglia o carriere andate in frantumi. È una parabola sulla natura dove i chicchi di neve sono vere e proprie presenze pensanti, gli uccelli di bosco e i pappagalli domestici sono compagni più sensati dell’essere umano. Una storia dove gli universi si sdoppiano tra sogno e realtà che parte da un sogno quello dei tronchi neri nella neve, spogli come lapidi, con una marea che sale, minacciando di inghiottire le tombe e spazzare via le ossa. Da anni questo sogno perseguita la protagonista Gyeong-ha che, dopo una serie di dolorose separazioni, si è rinchiusa in un volontario isolamento che viene interrotto solo da una richiesta dell’amica di andare a dar da bere al suo pappagallo sull’isola, dove imperversa una bufera.
È difficile raccontare il limite tra romanzo e poesia in una scrittura lirica ma allo stesso tempo perfetta e precisa, quasi cronachistica ma dove ci si perde assolutamente in modo piacevole tra visibile e invisibile.
Non dico addio
di Han Kang
Adelphi
20 euro