Dt 6,2-6; Sal 17; Eb 7,23-28; Mc 12,28-34.
Si sa quanto sia importante l’ascolto per il mondo biblico.
La regola d’oro dell’Antico Testamento è «Shemà, Israel».
Una delle regole monastiche più famose, quella di san Benedetto, inizia con «Obsculta o fili» (Ascolta figlio).
Il vangelo di questa domenica è un invito ad intendere l’ascolto come forma d’amore. Trovare qualcuno che t’insegna ad ascoltare, è una grazia.
Dio parla, ancora oggi: certo nella Scrittura, nella liturgia, ma anche nella storia, attraverso la parola degli altri, attraverso ciò che accade.
Ma amare come?
Mettendosi in gioco interamente. Per quattro volte nel brano evangelico è ripetuto l’aggettivo «tutto».
L’amore totale per Dio ha davvero dato la struttura vertebrale della vita di Israele nei secoli, tant’è che porterà i fedeli a cantare la propria fede anche di fronte alla bocca nera dei forni crematori nei lager nazisti.
«Non vi è popolo più eletto di uno sempre colpito – afferma Yossl Rakover in un brano del suo tremendo racconto ambientato a Varsavia, il 28 aprile 1943 -. Anche se non credessi che un tempo Dio ci abbia destinati a diventare popolo eletto, crederei che ci abbiano resi eletti le nostre sciagure. Credo nel Dio di Israele, anche se ha fatto di tutto perché non credessi in lui. Credo nelle sue leggi, anche se non posso giustificare i suoi atti. Il mio rapporto con lui non è più quello di uno schiavo verso il suo padrone, ma di un discepolo verso il suo maestro. Chino la testa dinanzi alla sua grandezza, ma non bacerò la verga con cui mi percuote. Io lo amo, ma amo di più la sua Legge, e continuerei a osservarla anche se perdessi la mia fiducia in Lui. La sua Legge rappresenta un modello di vita, e quanto più moriamo in nome di quel modello di vita, tanto più esso diventa immortale. Perciò concedimi, Dio, prima di morire, ora che in me non vi è traccia di paura e la mia condizione è di assoluta calma interiore e sicurezza, di chiederTi ragione, per l’ultima volta nella vita».
Brano provocatorio, che dice una verità: il rivolgersi a Dio chiedendogli perché non ci ascolta. Ma, quante volte nella Scrittura nello stesso modo Dio si lamenta che l’uomo non lo ascolta.
Le domande: «Dio dov’è? – L’uomo dov’è?», stanno insieme. Si sa che ascoltare fa rima con obbedire: la Parola di Dio è ascoltata nella misura in cui è vissuta, cioè «obbedita». E uno dei luoghi di verifica di tale obbedienza è il sapere prestare attenzione alla Parola e al prossimo. L’ascolto è innanzitutto la prima forma di rispetto e di attenzione dell’altro, la prima modalità di accoglienza della sua presenza. Sappiamo per esperienza che l’altro non sempre pronuncia parole di reale interesse, non sempre la sua presenza è gradita. Ma se è vero che l’ascolto esige sforzo e pazienza, fatica, è altrettanto vero che un ascolto autentico sa trarre lezioni buone anche da dialoghi apparentemente poveri e molto «quotidiani», così come sa accogliere vita della Parola.
Ascoltare: essere attenti, accogliere le parole di chi ci sta di fronte ma anche tentare di intuire ciò che l‘altro vuole comunicare al di là di quanto riesce a dire.
«Qual è il primo di tutti i comandamenti?».
E Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta!».