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Giovedì 21 novembre 2024

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Perché quei migranti non possono essere trattenuti in Albania

La Corte europea di giustizia stabilisce che il diritto dell’Unione non consente agli Stati UE di designare come Paese sicuro per il respingimento “solo una parte del territorio del Paese terzo interessato”

Torino

La Guida - Perché quei migranti non possono  essere trattenuti in Albania

Corte di giustizia dell'Unione Europea

( Adg). La vicenda dei trasferimenti dei primi migranti in Albania da parte del governo italiano ha sollevato tensioni politiche ed istituzionali in Italia, ma ha radici più lontane in Europa e, più recentemente, in una sentenza della Corte europea di giustizia.
Le radici sono quelle di una civiltà del diritto che progressivamente nei secoli questo nostro continente ha cercato di costruire con fatica e non poche contraddizioni. Un cantiere già attivo con il diritto romano, sviluppatosi nel contesto di un’Europa segnata dal messaggio cristiano e che ha trovato nella modernità europea, da Erasmo alla Rivoluzione francese, una sua configurazione nel rispetto della persona, da proteggere da ogni forma di discriminazione.
Lo ha confermato ancora recentemente, a inizio di questo secolo, la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea” , oggi documento giuridicamente vincolante, in cui “l’Unione riconosce i diritti e le libertà e i principi enunciati in appresso”, nel seguente ordine: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.
I 27 Paesi UE hanno liberamente convenuto di vivere in questa civiltà del diritto, regolata da Trattati negoziati tra le parti e da cui discendono normative condivise, il cui rispetto è affidato alla sorveglianza delle Istituzioni europee, in particolare la Commissione “garante dei Trattati” e alla Corte europea di giustizia, i cui pronunciamenti prevalgono, in caso di conflitti di interpretazione, su quelli nazionali.
È il caso di quanto avvenuto, con una sentenza della Corte europea di giustizia, lo scorso 4 ottobre su richiesta di un tribunale della Repubblica Ceca, che ha affermato il diritto dell’Unione di non consentire attualmente agli Stati UE di designare come  Paese sicuro per il respingimento “solo una parte del territorio del Paese terzo interessato”.
Ed è appellandosi a questa sentenza che il Tribunale di Roma, il 18 ottobre scorso, ha negato la convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi cui aveva fatto ricorso il governo italiano, motivandola con la “impossibilità di riconoscere come ‘Paesi sicuri’ gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera”, trattandosi nel caso in questione del Bangladesh e dell’Egitto.
Vedremo nei prossimi giorni come reagirà il governo italiano nel quadro di un conflitto non solo politico ma anche istituzionale tra i poteri dello Stato e l’Unione Europea, che inevitabilmente coinvolgerà, oltre il potere esecutivo e quello giudiziario, anche quello parlamentare, da tempo troppo silente sul rispetto della separazione dei poteri.
Limitiamoci qui a formulare qualche riflessione sulle risposte attese dall’Unione Europea, responsabile dell’individuazione dei “Paesi sicuri” per i trasferimenti migranti, senza dimenticare che altri vincoli giuridici esistono per i respingimenti. C’è poco da aggiungere sulla sentenza della Corte che si è limitata ad applicare le norme europee vigenti, salvo notare che la sua sentenza precede l’increscioso episodio italiano e ricordare che il diritto comunitario prevale su quello della “Nazione”, come molti nell’UE tendono a dimenticare o vorrebbero modificare.
Sarà interessante vedere come reagirà la Commissione europea che con la sua riconfermata presidente, Ursula von der Leyen, aveva a più riprese detto il suo apprezzamento per l’iniziativa italiana, additandola come un possibile modello, peraltro non condiviso da governi come quello tedesco, francese e spagnolo ed altri e questo senza tenere conto delle molte perplessità sollevate in seno alle Istituzioni UE.
Sullo sfondo si conferma anche nell’UE un possibile conflitto istituzionale dove le “Nazioni”, o alcune di esse, si candidano ad essere le “piccole patrie” del diritto e, se elettoralmente utile, anche del suo rovescio. Senza esitare in Italia di fare anche carta straccia dell’art. 11 della Costituzione e dell’art. 117 per il quale: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

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