Attraverso alcune misure previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza il Governo ha inteso ed intende dare un forte impulso al settore del fotovoltaico, con l’obiettivo di incrementare la produzione di energia da fonti rinnovabili e allo stesso tempo abbattere i costi energetici delle imprese agricole, aumentandone la competitività.
Si tratta senza dubbio di una grande opportunità per il comparto agricolo e agroalimentare e per l’intera collettività, tuttavia la realizzazione di questi impianti deve avvenire nel rispetto di alcune regole e requisiti fondamentali.
La realizzazione dei classici impianti fotovoltaici realizzati a terra sui terreni agricoli già in passato è stata causa di un irreversibile danno in termini di consumo di suolo, spesso caratterizzato da un elevato livello di fertilità, con un impatto negativo sul paesaggio, a discapito anche dell’immagine di alcuni prodotti del territorio. L’auspicio è dunque che questa tipologia di impianti venga in futuro realizzata solo in aree e contesti privi di controindicazioni quali possono essere le cave e le discariche dismesse, i piazzali e i posteggi o altre aree già oggetto di cementificazione.
Ancora in gran parte non adeguatamente sfruttata è la possibilità di installare pannelli fotovoltaici sulle coperture degli edifici a servizio delle attività produttive, a partire da quelli riferibili al comparto agricolo ed agroalimentare. Quest’ultima possibilità è stata di recente fortemente sostenuta attraverso quello che è noto come il Bando Agrisolare.
Nell’ambito del Pnrr è, infatti, stata prevista l’erogazione di contributi, per un ammontare complessivo pari a 1.500 milioni di euro, finalizzati alla realizzazione (entro il 2026) di nuovi impianti per una potenza complessiva di 375.000 kw.
Si tratta di una misura fortemente voluta da Coldiretti e che, a conferma che l’installazione del fotovoltaico sulle coperture degli edifici deve rimanere la strategia principale, ha visto nei primi due bandi aperti una grande adesione da parte delle imprese agricole.
Cosa diversa è il cosiddetto agrivoltaico, di cui si discute diffusamente in queste settimane generando non di rado qualche confusione con l’agrisolare.
La Commissione UE ha recentemente approvato la proposta italiana di aiuti per un totale di 1,7 miliardi di euro, nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza (RRF), per la realizzazione di impianti agrivoltaici. A seguito di ciò è stato pubblicato il decreto ministeriale con i criteri e le modalità per incentivare la realizzazione di questi impianti per una potenza complessiva pari ad almeno 1,04 GW, equivalenti ad una produzione indicativa di almeno 1.300 GWh/anno.
Si tratta di impianti che devono consentire l’utilizzo simultaneo dei terreni per la produzione di energia fotovoltaica, attraverso l’installazione di pannelli solari, e lo svolgimento delle attività agricole.
L’agrivoltaico mira a conciliare la presenza degli impianti in aree agricole con la tutela della funzione primaria del suolo, ovvero la produzione di prodotti agricoli, resta dunque necessario verificare che le soluzioni tecniche ed impiantistiche proposte siano adeguate a garantire tale condizione imprescindibile.
Per dare indicazioni precise su come dovrebbero essere realizzati questi impianti sono state stilate delle Linee guida in materia di impianti agrivoltaici raccolte da un gruppo di lavoro coordinato dal Ministero per la transizione ecologica e composto da Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), Gse (Gestore dei servizi energetici Spa), Enea (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) e Rse (Ricerca sul sistema energetico Spa).