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Venerdì 22 novembre 2024

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L’esperienza dello stare accanto nella sofferenza

Cronaca di un dolore che devasta a fronte di un amore che sopravvive

La Guida - L’esperienza dello stare accanto nella sofferenza

“Scrivo perché per me è l’unica forma di sfogo”, una valvola di sicurezza, confessa Gianmaria Rinaudo al termine di questa lunga cronaca di dolore e di amore. Undici anni di sofferenza accanto alla moglie Marina, distesi sulla carta come un lungo sudario, visti attraverso i propri occhi, vissuti nel proprio intimo, perché il male che atterra una persona cara è altrettanto devastante in chi le sta vicino.
Il dolore è qualcosa di personale, di incomunicabile, di condivisibile solo in minima parte, come la morte. Lo sperimenta l’autore. Per questo può solo adeguare i suoi ricordi al proprio punto di vista. Non si permette di invadere la sensibilità della moglie, di farle dire cose non udite. Ciò mette per scritto è la propria esperienza che necessariamente è profondamente diversa da quella della moglie. Devastante, seppur in forma diversa. Parla della sua solitudine nelle sale d’attesa, del senso di inadeguatezza di fronte al male, della rabbia che emerge per l’indifferenza di qualche sanitario, di domande appena abbozzate con risposte laconiche, quasi assenti.
Fin dall’inizio non si nasconde dietro mezze parole: precipita il lettore nel dramma: “tutto cominciò circa undici anni fa”. Poi c’è il racconto del cammino lungo, del progressivo scoraggiamento. Alterna momenti di cauta serenità ad altri di silenzio. Un passo in avanti per precipitare poi indietro di anni. È la curva sinusoide del male che consuma Marina, mentre esaurisce pure lui.
In questo cammino “speranza” è l’unica parola che rimane. Solo nelle ultime pagine le illusioni lasciano il posto alla rassegnazione. Comincia a farsi sentire il pensiero del dopo. Prende a tradimento il lettore che finora ha seguito con partecipazione questo tortuoso sentiero vissuto con forza e ora, d’improvviso, è esplicita la coscienza della fine.
È una storia di dolore in cui non è difficile ravvisare un profondo amore. È il sentirsi sicuri a casa dopo i ripetuti ricoveri. Sono le poche battute in dialetto che hanno la dolce modulazione del familiare. È la tenerezza di qualche gesto, il vederla, il tenerle la mano. È la dedizione assoluta a quella donna ora bisognosa di tutto. Sono le fotografie che rimangono a ricordare, questa volta a ragion veduta e senza infingimenti, quanto “sono stato fortunato a incontrarti”.

 

Mi basterà guardare il cielo
Gianmaria Rinaudo

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