Se si aspettano colpi di scena e storie avvincenti, bisogna cambiare lettura. Perché il libro di Nabokov, lo stesso di Lolita, racconta di per sé nulla, una storia quasi evanescente come i sogni e i ricordi ma è un romanzo di una bellezza disarmante e dalla malinconia intensa. Siamo nella Berlino degli anni Venti. Protagonista è Ganin, esule russo, che vive in una pensione di russi, una varia umanità di espatriati la cui quotidianità è scandita più da ciò che è stato perso che da ciò che realmente si ha: Alferov, marito di Mašen’ka, Klara, ragazza triste, segretamente innamorata di Ganin, due ballerini, il vecchio poeta Podtjagin. Ganin trascina una storia d’amore con Ljudmila perché gli manca il coraggio di troncarla e, in generale, si trascina nella vita, ama le donne e la solitudine, rimpiange la Russia, non crede nel futuro. Si risveglia dal suo torpore solo quando arriva Mašen’ka, sua antica amante, che diventa icona della memoria, del tempo perduto. Con lei tornano nei ricordi le serate pietroburghese, i profumi primaverili e la pioggia, i baci. Ganin ripiomba nel suo amore adolescenziale e nella sua vita prima dell’esilio dall’amata Russia, in una sospensione temporale dove il passato torna ad essere presente nelle emozioni. Mašen’ka è un inno alla Russia desiderata, amata, maledetta e tradita, madre e matrigna. E su questi ricordi è costruito gran parte del romanzo, dove la scrittura, senza una sola sbavatura, ti avvolge completamente rendendo vivido un viaggio incantato e onirico. Nel suo primo romanzo, scritto durante il suo primo esilio, Nabokov rende in maniera brillante il senso di straniamento dell’essere umano con pagine intense e vibranti di passione.
Mašen’ka
di Vladimir Nabokov
Adelphi
18 euro