Francesco Russo, in arte Burot, è morto il 10 giugno scorso a 77 anni, all’improvviso dopo essere rientrato da un’uscita con la sua bicicletta. Uno dei riferimento del mondo dell’arte moregalese, Burot era nato a Carrù nel 1945, e aveva vissuto e lavorato a Mondovì. Negli anni giovanili aveva frequentato lo studio di Italo Mus e si era legato a Eso Peluzzi e al maestro francese Max Dissar. Aveva esordito in pittura a vent’anni, partecipando al primo concorso di pittura carrucese intitolato Trofeo Pippo Vacchetti, nel quale era risultato premiato.
“L’arte di Burot – scrive Lorenzo Barberis – nasce in stretta sintonia col territorio di provenienza, che spiega anche la costante attenzione critica locale sull’operato dell’ artista. Le sue radici profonde stanno nella pittura di Langa, dove avvia la propria formazione sulle orme di uno zio pittore e del maestro Eso Peluzzi”.
Nel 1969 ha ottenuto un altro premio alla quarta triennale pittorica di Vicchio (Firenze). In quell’anno, ha esposto anche al Caffè Aragno di Mondovì. Nel corso degli anni Settanta, ha esposto in numerose personali e collettive, in particolare a Firenze, Genova, Pavia, Nizza e Montecarlo, e nel decennio successivo a Torino, Lione, Ginevra, La Salle e Lipsia, oltre alla presenza in diversi appuntamenti organizzati nel monregalese. Nel 1990 ha tenuto una retrospettiva nel Palazzo della Provincia a Cuneo. Negli anni successivi, ha preso parte a collettive organizzate a Ventimiglia e in varie località della Francia, collaborando con il Laboratorio di Scultura alla Borsarella di Mondovì, intervenendo, nel 2005, alla mostra dell’Arte della Pace in Serbia, intitolata a Sant’Anastasia di Sirmio, e partecipando, nel settembre 2012, alla mostra Omaggio di artisti monregalesi ‘I Galli di Burot’ – Sculture di Francesco Russo” in Palazzo Lucerna di Rorà a Bene Vagienna. La pittura e la scultura di Burot sono fortemente legate ai valori umani e ambientali tipici della propria terra d’origine. I tratti distintivi del suo stile pittorico gli derivano dagli insegnamenti di uno zio pittore e del maestro Peluzzi, da cui ricava, come ha scritto Franco Caresio, la sua “chiarezza ed essenzialità espressiva”, che evolve, in seguito, dapprima verso forme spontaneamente surreali, allegoriche e fantastiche, quindi verso modi espressivi decisamente più astratti, essenziali, dalle influenze picassiane filtrate attraverso l’arte di Ego Bianchi. Le sue opere scultoree, in particolare, si caricano, da ultimo, di intenti giocosi, di un modellato e di una veste pittorica favolistici, di forza vitale e di semplicità primordiale.
“Per Francesco Russo l’arte è stata una vocazione precoce – dice Remigio Bertolino . e credo che la sua musa non l’abbia mai deluso. Il suo percorso artistico è stato ed è un’intensa quête, un picassiano continuo rinnovarsi fuori da schemi e canoni consueti: trovare risposte, corrispondenza ai sentimenti alle sensazioni ai moti interiori. Ogni volta l’urgenza del dire ha spinto l’artista in direzioni nuove, in zone inesplorate. Immagini – le sue – vibranti, accese da un fuoco inestinguibile di creatività e fantasia, colori che hanno l’atmosfera del sogno, di mondi surreali…”.
“È un indomito cercare e sperimentare – chiude Ernesto Billò – quello di Francesco Russo: un guardarsi intorno con la voracità di un autodidatta ma anche con l’umiltà di chi sa apprezzare i grandi esempi delle più varie epoche per trarne stimoli da elaborare e da contaminare senza troppe soggezioni. Un lungo percorso di ricerca e di lavoro, il suo, sui versanti della scultura e della pittura. Pietre, radici, legni e altri materiali tratti dalla natura e scolpiti rispettandone l’essenza in modo da far affiorare storie remote, armonie nascoste, forze da sempre imprigionate. Ma, in parallelo, una intensa produzione di dipinti, disegni, incisioni”.