La guerra della Russia all’Ucraina continua ormai da tre mesi, con il suo carico non solo di orrori ma anche di devastanti incertezze sulla possibilità di una tregua. Man mano che il tempo passa, le ricadute di un tale conflitto si fanno sempre più sentire come onde lunghe sui Paesi vicini e lontani e, ad oggi, ancora non sappiamo fin dove i suoi tentacoli giungeranno.
Il fronte dell’Unione Europea, dimostratosi fino a poco tempo fa compatto e determinato,
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Allargando lo sguardo oltre l’Unione Europea, si notano fibrillazioni anche all’interno della NATO. Se, da una parte, la richiesta di adesione all’Alleanza atlantica di Svezia e Finlandia potrà contribuire a rafforzare la NATO stessa e a creare un miglior equilibrio al suo interno fra Europa e Stati Uniti, dall’altra tale richiesta incontra l’opposizione della Turchia, Paese non irrilevante sulla cartina geografica della NATO e per i suoi rapporti con la Russia. Infine, non va dimenticato che proprio il 20 maggio scorso, il Congresso USA ha dato il suo accordo per un ulteriore aiuto militare ed umanitario all’Ucraina di circa 40 miliardi di dollari.
Intanto la pressione cresce da parte russa. Se la risposta economica di Putin all’Occidente e all’Europa si basa in particolare sulla chiusura dei rubinetti del gas ad alcuni Paesi ritenuti particolarmente “ostili”, come Polonia, Bulgaria e Finlandia, mandando un segnale inequivocabile soprattutto a Bruxelles, la ritorsione peggiore la si riscontra sul blocco delle esportazioni di cereali dall’Ucraina, fermi quest’ultimi nei silos del porto di Odessa sotto assedio russo. La FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e il PAM (Programma alimentare mondiale) hanno lanciato l’allarme di rischio carestie, in Medioriente e Africa.
Al riguardo le cifre parlano chiaro: l’Ucraina, che negli ultimi anni ha trasformato la sua agricoltura, esporta il 12% del grano mondiale (70 milioni di tonnellate nel 2021), il 16% del mais, il 18% dell’orzo, il 20% della colza e il 50% dell’olio di girasole. Il campanello d’allarme ricorda che nel porto di Odessa ci sono più di 20 milioni di tonnellate di cereali bloccate, mentre i prezzi esplodono sui mercati mondiali. Ci sono Paesi come Eritrea, Armenia, Georgia, Somalia che dipendono per il 90% dalle importazioni di grano da Russia e Ucraina, mentre altri Paesi come Turchia e Egitto per il 70% del fabbisogno interno. Non solo, ma anche Indonesia, Pakistan, Libano, Libia, Tunisia e Yemen sono Paesi fortemente dipendenti dai cereali ucraini. Una situazione estremamente pericolosa che, al di là dell’impatto devastante sul terreno di guerra, rischia di precipitare milioni di persone nel mondo nei disordini sociali e nell’inferno della fame e della povertà.
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