Saluzzo – Prosegue al tribunale di Cuneo il processo sullo sfruttamento della manodopera di lavoratori extracomunitari in cui sono imputati i componenti di due famiglie, titolari di un’azienda di frutta a Lagnasco e di una di allevamento polli a Barge. Con loro è imputato anche un cittadino del Burkina Faso, che si faceva chiamare “Momo” che faceva da intermediario tra i ragazzi che cercavano lavoro e i titolari delle due aziende.
L’indagine, coordinata dalla dottoressa Carla Longo, aveva preso avvio dalla denuncia di due lavoratori che, grazie anche alle informazioni ricevute dai sindacati Cgil e Flai, che avevano negli ultimi anni realizzato un servizio di ‘sindacato di strada’ per informare i lavoratori su contratti e buste paga, capirono di essere pagati meno di quanto effettivamente lavoravano. Secondo gli elementi raccolti dall’accusa, ai lavoratori, pagati parte con bonifici e parte in contanti, veniva chiesto indietro una quota del salario, con motivazioni che i giovani stranieri non capivano, “mi trattenevano a volte 58, poi 89, poi ancora 118 euro – aveva raccontato uno dei testi in udienza – dicendomi che erano trattenute legate al contratto annuale”. E poi c’era da pagare Momo perché era quello che faceva da intermediario con i datori di lavoro e parlava l’italiano, “io gli davo 20 euro, anche quando lavoravo poco. – ha riferito in aula un altro teste – Ho provato a oppormi ma lui mi disse che se non pagavo un mese, dovevo pagare il doppio il mese dopo. Se non si pagava non si creava un buon rapporto, lui non ti faceva più lavorare”.
Poi c’erano i soldi per i consumi di luce e gas alla casa del cittadinod el Burkina, una cascina dove dormivano in tante persone con condizioni sanitarie molto precarie, dai 20 ai 50 euro per le bollette, con un extra per le stufette quando faceva più freddo. I contratti duravano per brevi periodi, perché come ha spiegato una rappresentante dei sindacati costituiti parte civile in giudizio, se si superavano le 102 ore lavorative si aveva diritto alla disoccupazione. Insieme alla busta paga veniva dato loro anche un bigliettino che alcuni testi hanno riconosciuto in aula, una specie di foglio di presenza con un orario di lavoro non corrispondente a quello effettivo, “Momo mi disse che in caso di controllo dovevo mostrarlo ai carabinieri”. Dopo le 8-10 ore di lavoro nel frutteto, alcuni lavoravano di notte nella ditta di pollame, “non avevo un contratto – ha riferito un ragazzo – ed era Momo che mi pagava. I capi gli davano i soldi in contanti e lui li divideva tra noi dopo aver tolto una parte di soldi che teneva per sé, perché lui ci aveva trovato il lavoro. Si teneva dai 50 agli 80 euro”. Il processo proseguirà il 21 ottobre con i testi del pubblico ministero e i primi testi della difesa