Ogni inizio è accompagnato da uno sguardo retrospettivo. Ogni passo in avanti scaturisce da altri già compiuti e ne diventa una copia arricchita. Per Annibale Salsa questo inizio coincide con la partenza verso Malga Pozze, ma è partenza indissolubilmente legata a quella del 24 giugno 1957 quando, bambino, si mette in cammino per Balma Mondolè, sulle Alpi monregalesi, assieme alla mandria del cugino. L’esperienza segna la vita dell’autore che percorre i sentieri delle montagne per studio e per passione alla scoperta del mondo dei malgari.
È un antropologo, ma quel bambino che parte ha gli occhi meravigliati di ogni bimbo, ha voglia di scoprire, di fare esperienza di una vita che gli appare piena di fascino. E il libro vive di questa sensazione scandita secondo tre momenti fondamentali: la partenza, l’alpeggio e il ritorno. Si atteggia ad autobiografia, quasi a diario di formazione. Registra quei pochi giorni che rimangono impressi nei ricordi dell’autore. È il ricordo di un’”intensità di vissuto” nelle vacanze estive trascorse nell’accudire gli animali, senza però indulgere nel romanticismo.
C’è una montagna ideale e una reale, chiarisce l’autore. La prima è costruzione del mondo urbano che indulge al sentimentale, si esalta nel ritorno al selvaggio o, nel migliore dei casi, si appella alle tematiche ambientali. La seconda è quella che si vive sui sentieri dietro alle mandrie, nei rifugi dei pastori la sera.
Anche in questo caso però l’autore si sottrae alla retorica che sottolinei solo fatica e difficoltà. È anche questo, perché “la vita in montagna è un continuo apprendere la cultura del limite”. Ma il racconto della vita in alpeggio segue le emozioni alternando aspetti bucolici ad altri pragmatici. È la sua “fetta di montagna” che gli fa cogliere l’infinito.
Le nozioni tecniche e culturali, di cui è ricco il libro, si stemperano nei ricordi, nelle immagini “impigliate negli occhi”. I suoni compagni del cammino, la notte stellata, il buio che non fa più paura, le usanze dei lavori che si intrecciano con tradizioni culturali e religiose, i ritmi delle molte occupazioni vissuti nel “profondo rispetto dell’attesa, come se anche attendere facesse parte del lavoro dei malgari”.
Come in ogni viaggio, per il bambino ieri e l’antropologo oggi arriva il momento del ritorno per toccare definitivamente la distanza esistenziale tra il mondo dell’alpeggio e quello urbano. Nostalgia, ma anche la consapevolezza che “chi vive la montagna cammina dentro quel cerchio dove ogni fermata segna lo slancio per un nuovo inizio”.
Un’estate in alpeggio
di Annibale Salsa
Ponte delle Grazie
13 euro