Fossano – Arrivano da tutta la provincia di Cuneo, e non solo, gli stagionali che trovano lavoro nell’azienda agricola di Emanuele Bressi, a Fossano, vincitore, nella categoria “Noi per il sociale” degli “Oscar Green” 2020 di Coldiretti Giovani impresa, per aver abbracciato, fin da subito, le opportunità dell’agricoltura sociale, aprendo la propria impresa a persone che vivono situazioni di fragilità e creato valore sociale.
“Io nasco come educatore – racconta il trentasettenne – e poi, nel solstizio d’estate del 2016, ho ricevuto il testimone della nostra azienda agricola che aveva fondato mio nonno e poi era passata a mio padre, prima come produzione di cereali e poi di pomodori. Fin dall’inizio ho voluto che fosse un’azienda aperta ai bisogni della comunità. Facendo assunzioni stagionali, legate alla produzione e raccolta da aprile a ottobre, ho capito che potevamo create percorsi per cercare d’intercettare le esigenze sociali. Sono piccoli progetti che proponiamo a giovani e meno giovani che hanno ricevuto ‘sgambetti’ dalla vita, per dare loro la possibilità di scrivere, sul curriculum vitae, qualcosa di bello creato con il sudore della fronte, in campo e sotto serra. E questo dà una mano a chi partecipa a ritrovare fiducia. Collaboriamo, oltre che con la Caritas, anche con diversi centri di formazione professionale per gli inserimenti lavorativi. Con la Coldiretti abbiamo partecipato a un bellissimo progetto, finanziato da Fondazione Crc, che è stato il bando “Opp.La.”, opportunità lavoro: ci ha permesso di inserire in azienda un padre di famiglia siriano per due anni. In questi 5 anni abbiamo dato lavoro a circa una ventina di persone dai 18 ai 55 anni. Mi sono trovato a dare delle mansioni a persone che avevano l’età di mio padre, ma abbiamo sempre superato le difficoltà con il rispetto reciproco, che è alla base delle relazioni che abbiamo sempre costruito nei nostri campi”.
“In questi ultimi mesi – sottolinea ancora Emanuele Bressi – con l’emergenza Covid, è emerso un nuovo bisogno a livello di territorio: ci sono molti ragazzi dai 16 anni in su che avrebbero la possibilità di lavorare, ma non trovano nessuno che li prenda per le problematiche a livello di sicurezza. Ad aprile dell’anno scorso, almeno una ventina di mamme mi hanno chiamato per chiedermi se potevo prendere i figli a lavorare. Non per un discorso economico, ma per dare ai ragazzi qualcosa da fare, un impegno oltre la didattica a distanza, il telefonino o i videogiochi, invece di passare le ore, dal mattino alla sera, in pigiama. Credo che l’obiettivo valga il rischio”.