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Venerdì 22 novembre 2024

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Oltre la linea di quarantena con i migranti scesi a terra

“Diario di una buonista”: l’esperienza di Marianna Cento nell’accoglienza di chi sbarca a Pozzallo

La Guida - Oltre la linea di quarantena con i migranti scesi a terra

È una dimensione inedita quella che costituisce la trama sottesa alle pagine di Marianna Cento quando racconta la propria esperienza a Pozzallo a contatto con i migranti appena sbarcati. Non si tratta “soltanto” di riportare lavori, emozioni a fior di pelle. C’è una dimensione personale che affiora, quel che il vissuto deposita nell’animo. Anche in questo però non è soltanto l’aprire gli occhi sui propri valori o stili di vita. “Oltre a tutto questo – svela l’autrice – uno dei doni più preziosi è la conoscenza di parti di sé forse temute, ignorate, non accolte”, fino a concludere: “gli altri siamo noi”.
È questo confine labile tra i migranti e se stessa che Marianna Cento sperimenta nella “linea di quarantena” sul molo e presto scandaglia quando si lascia penetrare dagli sguardi dei bambini, dalle figure di esseri umani “svuotati di umanità”, che portano sul proprio corpo i segni della “memoria del mare”. Per questo allorché viene allertata per l’intervento in uno sbarco sente “il bisogno di fare un momento di silenzio interiore”.
“L’incarnazione”, di cui altrove parla, assorbe le forze e richiede quella capacità di staccare per un momento che salvaguardi non solo sé, ma il suo stesso impegno, consapevole delle conseguenze delle proprie azioni “anche di quelle più immediate e istintive”. È un distanziarsi che si traduce concretamente nel saluto straziante a Joy, la bimba che vuol vedere il mare “fuori”.
Un al di qua e un al di là delle mura dell’Hotspot feriti, nonostante tutto l’impegno profuso, da una distanza incolmabile “che parla dell’incomunicabilità delle esperienze vissute”, scolpite nell’atteggiamento di difesa o di apatia, pronte a riemergere in incubi notturni. Per questo una delle prime urgenze del lavoro con i bambini è ricreare un angolino di “casa” che segni visivamente un senso di appartenenza, di familiarità, di bellezza e colore.
Questo diario senza date registra un’infinità di incontri tutti segnati dal senso opprimente di fragilità fisica, ma soprattutto umana. L’anima di etnopsicologa dell’autrice affiora allorché nell’oggettiva situazione sanitaria coglie il “bisogno di umanità” che si manifesta anzitutto nei legami infranti a livello di appartenenza a un gruppo, a una cultura. Il migrante non parte da solo: porta con sé il carico di famiglia, di relazioni depositate nell’animo che lo costituiscono come uomo, mentre la cultura occidentale lo vede solo come individuo.
L’autrice legge questo sradicamento nelle scritte lasciate sui muri dell’Hospot, nel disorientamento, nel braccialetto alfanumerico mostrato come segno di riconoscimento, negli occhi dei minori, che la burocrazia incasella nella sigla “msna”, minori stranieri non accompagnati. Si tratta di ridare loro un volto, di sostenere il guizzo di “curiosità, apertura al nuovo” delle ragazze che chiedono dei libri.
E se qualcuno ancora dubitasse della dimensione personale di cui si diceva all’inizio, attenda di ultimare la lettura del libro. Scoprirà dalla voce stessa dell’autrice quanto l’esperienza vissuta le consenta di ritrovare le proprie radici, di sperimentare quel senso di famiglia che è appartenenza e continuità approfondito tra i migranti e confermato nel racconto del bisnonno.

Diario di una “buonista”
di Marianna Cento
Primalpe
14 euro

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