Limone – È ufficiale: gli impianti di Limone non riapriranno il 20 febbraio. Come si era mosso il comune in vista della riapertura degli impianti di risalita? “Era tutto pronto – spiega Rebecca Viale, vicesindaco di Limone – il Comune aveva aiutato la società attraverso il contingentamento delle presenze giornaliere. Con l’aiuto delle Forze dell’Ordine avevamo organizzato la riapertura in modo da garantire ogni giorno la totale sicurezza.”
In merito alla decisione di Roberto Speranza di prorogare lo stop per tutti gli impianti di risalita, commenta: “Non ho le competenze per esprimere un giudizio sulle motivazioni del provvedimento. È assurdo il modo in cui si è deciso di diffonderlo: a meno di 12 ore dalla possibile apertura non si può decidere di annullare tutto. Molte piste erano già state battute, i dipendenti avevano già firmato un contratto. Quella degli impianti è una macchina complessa, metterla in moto richiede costi e impegno. Credo che questo sia un colpo basso per tutto il comparto sciistico; da sempre la montagna ha sofferto la lontananza dello Stato, ora tutto questo è amplificato”.
In merito al recupero dei danni causati dall’alluvione, precisa: “Da ottobre ci siamo impegnati a cercare di rimettere in sicurezza tutte le piste danneggiate, che tra l’altro sono tutte di proprietà comunale. La Cabinovia Severino Bottero e la Cabanaira in zona Limone-Quota 1400 erano state ripristinate, mentre la Pernante di Limonetto sarebbe rimasta chiusa. Dal punto di vista turistico, eravamo pronti”.
Molti albergatori e ristoratori si erano preparati per accogliere, da domenica, gli sciatori amatoriali. Federica Cece, proprietaria dei locali “Locanda del Colle” (Quota 1400) e “Bar Laghetti” (Limone), dichiara: “Provo rabbia, amarezza e delusione. Tenere aperta una struttura ha dei costi: bisogna pagare gli stipendi dei dipendenti, la loro casa, le bollette, i fornitori e tanto altro. Cambiare le carte in tavola in modo così rapido non mi sembra corretto. Domenica scorsa i miei dipendenti erano arrivati a Quota 1400, lunedì hanno rifatto le valigie”.
In vista della riapertura, i locali avevano adottato le misure necessarie per accogliere tutti in sicurezza. “Ci sentivamo pronti – continua la ristoratrice -. Guanti, mascherina, visiera protettiva e disinfezione dopo ogni servizio erano obbligatori per tutti i lavoratori. Avevamo addirittura rinunciato all’offerta di pernottamento nelle nostre camere. Le condizioni per evitare il contagio c’erano. Posso dirlo già ora: se il 5 marzo potremo riaprire, io non lo farò. Non ne varrà più la pena, i costi saranno insostenibili.”
A ribadire la criticità della situazione è Carlo Tosello, agente di stazione della seggiovia Morel, che confessa: “La condizione dei dipendenti stagionali è precaria e particolare. Benché la situazione fosse ancora incerta, alcuni hanno accettato di sospendere il sussidio di disoccupazione e tornare al lavoro, pur sapendo che qualche settimana dopo il governo avrebbe potuto richiudere tutto. Chi ha un contratto a tempo indeterminato continuerà a lavorare, chi, come me, ha un contratto stagionale, verrà rimesso in cassa integrazione.”
La vicesindaco del comune di Limone conclude: “Malgrado le difficoltà, c’è tanta speranza da parte di tutti per quanto riguarda l’estate. La pandemia ha dimostrato che la montagna è sempre più apprezzata e che nei paesi montani si può vivere tutto l’anno, anche grazie allo smart working. In questo senso, stiamo già lavorando per potenziare il servizio Wi-Fi, inserendo la fibra e implementare le attività outdoor. Creeremo giornate “verdi” anche durante i mesi in cui normalmente il flusso turistico è basso”.