Dal 2001, si celebra ogni anno, il 20 giugno, la Giornata mondiale del Rifugiato. È il giorno anniversario dell’approvazione da parte dell’Onu, nel 1951, della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati. Non occorrono tuttavia molte parole per definire un rifugiato: è colui che fugge. Fugge dalla guerra, dalla sua terra, dai suoi legami famigliari, lasciandosi alle spalle la sua intima storia e le sue radici.
Il rifugiato è lo specchio di una pace che non c’è, di un conflitto dove parlano solo le armi ed è qualcuno costretto a chiedere protezione internazionale. Ma rappresenta anche un forte richiamo alla nostra consapevolezza civile ed umana sulla situazione di molte persone che, in quelle condizioni, bussano alla porta del nostro Paese e dell’ Europa. Tutto ciò è il senso di questa giornata, che chiama alla riflessione e al disegno di un futuro che garantisca un nuovo modello di inclusione e un’accoglienza rispettosa dei diritti fondamentali. Una riflessione più che mai necessaria in questo nuovo periodo di crisi in cui versa non solo l’Europa ma il mondo intero.
Alcune cifre ci suggeriscono quanta fragilità umana è in fuga nel mondo: a fine 2019 erano circa 71 milioni le persone costrette a lasciare il proprio Paese. Di queste, circa 26 milioni sono rifugiati, più della metà dei quali di età inferiore ai 18 anni. Nel mondo, ogni due secondi una persona è costretta ad abbandonare la propria casa a causa di conflitti o persecuzioni.