“Una piccola storia di provincia” così Alessandra Demichelis definisce il suo lavoro sulla presenza in Cuneo di una “casa chiusa” . Una storia che si assapora d’un fiato grazie alla penna dell’autrice che riesce a contemperare rigore documentaristico con stile brillante e coinvolgente. Il ritratto della nostra città offerto dall’anonimo estensore di una lettera nel 1914 non è edificante: “Cuneo è tutto un postribolo, perché ad ogni piè sospinto si trovano delle femmine allegre”.
Da dieci anni è chiusa la casa di tolleranza che dal 1851 ospitava questo “commercio” secondo il “sistema venutoci dalla Francia”, cioè sotto il controllo della pubblica sicurezza e con una certa garanzia sanitaria.
L’autrice ripercorre il cammino che dal 1904 porta nel 1915 alla riapertura. È un decennio segnato da diversi tentativi per riportare l’esercizio della prostituzione nell’alveo della legge. Già, perché di legge si tratta anzitutto, di carte bollate sempre rinviando all’esigenza di “moralizzare l’immoralità”. Un paradosso certo non immune da ipocrisia, ma a cui lo studio Alessandra Demichelis non presta il fianco. L’interesse è tutto rivolto all’intreccio con la vita cittadina. Da un lato Cuneo con i suoi commerci e le numerose caserme è centro appetibile per siffatta attività. D’altro canto essa deve essere armonizzata con chi ci deve convivere e con le sue idee in fatto di moralità e buoncostume.
Tutti d’accordo sulla necessità di liberare le strade dagli adescamenti, sull’urgenza di una sorveglianza sanitaria, purché ciò avvenga lontano da isolati che oggi diremmo “sensibili”. Dove? Cuneo a quel tempo praticamente arriva a Piazza Vittorio e in questo spazio ovunque ci sono chiese, istituti educativi o di assistenza, scuole.
Così ogni volta che qualcuno avanza un progetto per una casa di tolleranza piovono contestazioni. Ci si appella alla presenza di studenti, di anziani, di orfani. C’è chi difende il decoro di un intero quartiere. E tutto si arena.
In questo ricco materiale documentario Alessandra Demichelis si muove con stile spigliato. Si veda il ritratto del commissario Vallese o quello di Luigi Fresia, il “sindaco esteta”, preso tra burocrazia e lagnanze dei cittadini.
Eppure la singolare storia della “casa da thè”, dice l’autrice con indubbia sensibilità, poggia su una nota finale malinconica: l’assenza totale di informazioni sulle donne che vi trascorrevano l’esistenza. Nulla si sa dei loro nomi, al più qualche soprannome, una generica provenienza. Affiora così una dimensione umana che trascende l’aspetto burocratico, le preoccupazioni morali più o meno ipocrite: “quanto vorremmo sapere i loro nomi, anche solo per ricordarle”.
La “Casa da thè”
di Alessandra Demichelis
Primalpe
9 euro