In Piemonte le cose vanno peggio che in altre regioni, rigore e prudenza sono giustificati. Ma il Piemonte non è tutto uguale. Meno “uguale” di tutte le province è quella di Cuneo.
Che senso può avere vietare di camminare o di pedalare su tre quarti del territorio provinciale, la montagna? In altre regioni, il permesso di tornare sui sentieri è stato dato. Perché non può esserlo anche sulle nostre Alpi, dove l’assembramento, unico vero rischio di contagio riconosciuto, può essere ben più facilmente evitato che in qualsiasi supermercato o piazza di paese?
Al contrario delle piste da sci (chi non ricorda quanto avvenuto a Cortina e in altre stazioni all’inizio dell’epidemia) e anche delle spiagge, la montagna offre la possibilità di sparpagliarsi su carrarecce e sentieri. Mantenere le distanze ed evitare gli assembramenti è certamente più facile che sui marciapiedi, nei bus o sui treni.
Perché questa ostinazione nel non prendere nemmeno in considerazione l’appello a “riaprire la montagna” che si leva da molte parti? Una soluzione che garantirebbe anche uno sfogo facile e più che opportuno per i bambini da mesi chiusi in casa.
Anche su questo fronte, nelle regole imposteci prevale la sfiducia totale nel senso di responsabilità dei cittadini. Non vogliamo credere che i nostri governanti, nazionali e regionali, non riescano a considerarci se non come persone irresponsabili, incapaci di regolarsi, studentelli discoli da tenere sottochiave e bacchettare.
Per questo rilanciamo l’appello di tante associazioni, gruppi, privati: sì a tutti i controlli, anche ferrei, contro qualsiasi assembramento. Che sia in città, in campagna o in montagna. Ma nel rispetto delle regole, per favore apriteci la montagna!