C’è un velo di malinconia nelle pagine dell’ultimo romanzo di Jonathan Coe. Una malinconia dolce e rispettosa, come una carezza. Un velo di malinconia per gli amanti del grande cinema prima di tutto ma anche e soprattutto una riflessione priva di sentimentalismi sul passare inesorabile del tempo, su quello che si prova quando si sente che c’è ancora qualcosa che si vorrebbe dare al mondo ma non interessa più a nessuno. Coe in qualche modo si identifica con il grande regista Billy Wilder che è uno dei protagonista del libro, forse l’unico vero protagonista. Anche se a narrare la storia e a raccontare la sua vita è Calista Frangopoulos, una donna greca sposata di cinquantasette anni, con due figlie in procinto di lasciare casa, che per caso, nella sua giovinezza, ha conosciuto e ha lavorato a fianco del mostro sacro di Hollywood, pur non sapendo neppure chi fosse. Ma il caso diventa vita. Poi impara a conoscere Wilder e il suo sceneggiatore inseparabile braccio destro Iz Diamond, e di entrambi, e delle loro rispettive mogli, impara a coglierne la grandezza e ad apprezzarne la sensibilità e la profondità. E impara una lezione profonda sull’amicizia, quella fraterna tra due persone diversissime, ma basata sulla creazione di qualcosa di grande.
Calista è la testimone dunque di un pezzo di vita di un grande uomo, un gigante che, senza accanirsi e senza lamentarsi va verso “Il viale del tramonto” proprio come uno dei suoi capolavori interpretato da Gloria Swanson (candidato a undici Oscar con tre vinti), sta girando “Fedora” il suo ultimo film che vuole proprio essere una sorta di rivisitazione del tema del suo famoso precedente successo. Insomma una riflessione sulla figura dell’artista, e dell’uomo, che invecchia e che si rende conto di essere diventato marginale, soppiantato da voci nuove, e che lotta, però, per ritagliarsi ancora uno spazio nel nuovo mondo. Calista viene scelta per caso per fare da traduttice in Grecia dove si gira parte del film, ma poi segue il cast sempre, anche in Germania e a Parigi, e gli intermezzi della sua vita, di oggi e del passato, si alternano con le pagine della vita di Billy Wilder un emigrato negli Stati Uniti nel 1934, all’avvento al potere di Hitler. Wilder è oggi Hollywood, la celebrità, il genio, ma è anche, e lo si capsice bene dalla pagine di Coe, il Novecento, il nazismo, la Shoah, la fuga di tanti verso l’America da un’Europa sull’orlo della guerra. C’è il Wilder di fine carriera e c’è quello degli esordi come visore delle riprese degli Alleati durante la liberazione dei campi di concentramento, a Londra, e poi alla ricerca disperata in quelle bobine di una ripresa di sua madre. Geniale l’espediente con cui Coe fa parlare Wilder del suo passato attraverso una struttura a sceneggiatura, con botta e risposta.
In ogni caso il Wilder-Coe ha qualcosa di grande da insegnare e lo dice lui stesso che pur sul viale del tramonto “Qualunque cosa la vita ci riversi addosso, avrà sempre qualche piacere da offrirci. E noi siamo tenuti a coglierlo”. E la lezione più grande è quella di un Wilder che potrebbe fare e dire tutto quello che crede, talmente la vita gli ha dato tanto, facendo “capricci” da divo, e invece senza rubare spazio ai “nuovi giovani barbuti”, come chiama i nuovi giovani registi che stanno invadendo la scena, Spielberg su tutti, si ritaglia il suo spazio per amore del cinema, dell’arte e di quello che è stato tutta la sua vita. Il tempo passa, c’è un’irreversibile presa di coscienza di questo ma c’è anche il desiderio di creare qualcosa che in ogni caso sopravviverà.
Io e Mr Wilder
di Jonathan Coe
Feltrinelli
16,50 euro