Saluzzo – Si erano conosciuti nel 2004 in discoteca, uno scambio di numeri di telefono e nulla più, eppure da quel momento, per più di dieci anni lei (P. D., una 38enne di Verzuolo) avrebbe iniziato a cercarlo al telefono, sul posto di lavoro a tutte le ore del giorno, chiedendogli continuamente di poter parlare con lui per poi insultarlo pubblicamente quando lo incontrava per strada. Ingiurie, molestie e minacce che si estesero anche alla donna che lui sposò nel 2015. Una situazione di profondo disagio e inquietudine che indusse l’uomo a cambiare lavoro per andare a gestire un locale in alta valle Maira, ma anche lì la donna era andata a cercarlo: “Ricevevo decine di telefonate al giorno – aveva raccontato la parte offesa in aula – non volevo rispondere, ma in quel modo non potevo prendere le prenotazioni”. Minacce telefoniche e molestie che si estesero anche a sua moglie: “Al nostro matrimonio – ha raccontato la donna – hanno dovuto presenziare i Carabinieri perché avevamo paura che lei facesse un macello come aveva minacciato. Inutile bloccare il suo numero perché chiamava da altre utenze. Ormai avevamo paura a rispondere al telefono”. I racconti della coppia sono stati confermati da una dipendente dell’uomo e da un’amica della moglie che ascoltò in viva voce una telefonata di minacce. La madre dell’imputata ha riferito invece del disagio della figlia, pesantemente insultata dall’uomo quando una sera passarono davanti a un locale dove lui si trovava con la moglie: “Ridevano di noi e lui disse che eravamo da ricoverare”. Al termine dell’istruttoria l’accusa, che ha ricordato i racconti degli amici testimoni del disagio e della preoccupazione della coppia per questo stato di cose, ha chiesto la condanna a un anno di reclusione. Richiesta a cui si è associata la parte civile chiedendo un risarcimento di 10.000 euro ciascuno per i due coniugi, mentre la difesa, che aveva presentato anche una perizia psichiatrica sulla propria assistita, ne ha chiesto l’assoluzione definendola “una donna volenterosa, capace di affrontare la vita ma bisognosa di un sostegno, con una emotività che non riesce a gestire crescenti stati d’ansia, come quelli generati dalla stigmatizzazione dei suoi problemi di salute”. Il giudice ha condannato la donna alla pena di otto mesi e al pagamento di 7.000 euro per ciascuna delle parti civili, oltre al pagamento delle spese processuali.