Cuneo – Il cinghiale rappresenta certamente la specie che più di tutte impatta sull’attività agricola, per le sue caratteristiche biologiche ed etologiche, ma anche per via delle manipolazioni che hanno interessato questa specie e che hanno contribuito, negli ultimi decenni, a una crescita esponenziale. Animale estremamente adattabile per gli habitat, lo si può ormai incontrare a partire da distese di alta quota (in estate oltre i 2.000 metri) fino agli ambienti di pianura, e ormai anche nei centri urbani delle grandi città e sui litorali.
Si tratta di una specie onnivora opportunista (ma la dieta è tendenzialmente di origine vegetale): le condizioni ambientali e la disponibilità delle diverse forme di cibo ne condizionano il comportamento alimentare. Mentre le femmine svolgono spostamenti più limitati, i maschi (soprattutto i “sub-adulti”) risultano più mobili e attivi, potendo compiere spostamenti, soprattutto notturni, anche di alcuni chilometri.
Alle intrinseche capacità di sviluppo demografico di questa specie, correlate anche con i problemi determinati da ibridazioni attuate con forme “domestiche”, negli ultimi anni si sono aggiunti problemi ulteriori, determinati ad esempio dai cambiamenti climatici. Questi ultimi hanno portato al susseguirsi di inverni più miti e anche al progressivo spopolamento di ampie aree, con la conseguente invasione dei campi un tempo coltivati da parte del bosco (ambiente privilegiato per il cinghiale).
Anche se i danni maggiori si registrano nelle aree confinanti o miste ad ambienti boschivi, oggi si può affermare che tutto il territorio è interessato dalle loro incursioni.
I danni dei cinghiali all’agricoltura derivano dall’attività diretta di alimentazione, ma dipendono anche da comportamenti come scavo, calpestio, distruzione di manufatti e strutture. Sulle piante da frutto, nei vigneti e negli impianti di arboricoltura da legno, si registrano danni causati dall’abitudine di questi animali di strofinarsi sulla corteccia degli alberi per eliminare i parassiti; sulle piante da frutto, a ciò si sommano i danni dovuti al consumo di frutti, accompagnato dal danneggiamento dei rami. Nei prati, nei pascoli e in generale nei confronti del cotico erboso, il danno maggiore dei cinghiali è imputabile alla loro attività di scavo per cercare tuberi, bulbi, larve di insetti, che può interessare ampie aree e che, soprattutto nei pascoli montani, impone onerose attività di ripristino in condizioni disagevoli.
Il danneggiamento ai seminativi si registra un po’ in tutte le fasi di sviluppo delle coltivazioni, da quelle di semina fino alla maturazione del prodotto e, di conseguenza, può comportare la necessità di risemina, la perdita di prodotto per consumo diretto o per calpestamento delle piante. Anche le specie ortive subiscono danni che variano in funzione della fase di sviluppo e che non si limitano al consumo di frutti o tuberi ma sono imputabili anche al calpestio e all’attività di scavo.
Numerose sono poi le strutture e i manufatti che possono risultare danneggiati: impianti irrigui, recinzioni, terrazzamenti e altre strutture nei pressi delle aziende.
Infine, la proliferazione dei cinghiali costituisce uno dei principali veicoli di contagio e diffusione della peste suina africana (Psa), malattia virale che colpisce i maiali e i cinghiali – non le persone – e che viene trasmessa e si diffonde attraverso animali che l’hanno contratta per ingestione o contatto con materiale infetto e punture di zecche. La Psa è una malattia molto contagiosa caratterizzata da febbre alta, perdita di appetito, emorragie cutanee e degli organi interni dal decorso frequentemente letale anche in tempi brevi (da 2 a 10 giorni dall’infezione). Non esistono né vaccini né cure, pertanto rappresenta una gravissima minaccia per la suinicoltura del nostro territorio e impone l’adozione di tutte le misure utili a evitare la diffusione.