La scuola. Che nostalgia. La scuola vera, non quella della dad, ritorna nel nuovo libro di D’Avenia a dieci anni dal suo esordio letterario. Qui siamo in una classe-ghetto in cui sono stati inseriti tutti i casi disperati della scuola, guidata da un insegnante di scienze che ha perso la vista. E questa cecità è metafora di qualcosa di più profondo, perché Omero non ci vede ma finisce per capire gli alunni meglio degli altri professori. Omero inventa un modo tutto nuovo di fare l’appello, spinto dalla sicurezza che basti salvare ogni nome per riuscire a salvare il mondo, anche se questi nomi appartengono a ragazzi che nessuno prima è stato in grado di vedere. Omero riesce, con il suo modo di fare, a creare un rapporto intimo e duraturo con questi ragazzi arrivando a conoscerli fino in fondo. I dieci tramite le parole di Omero, della zia Patrizia, la bidella che tanto vuole bene a questi ragazzi, si fanno man mano conoscere con il loro retro di vite complicate in famiglie complicate che non sono fuori dal comune, sono ragazzi “normali” che nascondono un dolore profondo all’interno del loro animo. Ma sanno dare tanto, se solo ci si ferma ad ascoltarli un attimo. Ed è Omero che lo fa. Grazie la sua cecità non guarda solo l’apparenza ma riesce a scavare nell’interno del loro animo scoprendone tutte le debolezze, a dar loro fiducia e a creare un rapporto intimo che porta ognuno di loro a crescere e a maturare. Un libro diverso dai precedenti, molto più maturo che entra dentro e non è possibile dimenticarlo facilmente.
L’appello
di Alessandro D’Avenia
Mondadori
20 euro